Buongiorno Luca,
come anticipato, nell’articolo di Blackstone Chronicles (https://genesistemple.com/blackstone-chronicles-an-adventure-in-terror) sottolineavo come il gioco della Legend funzionasse a metà tra narrativa “horror” e documentario sulla storia degli istituti psichiatrici e dei trattamenti; in questo senso il paragone con Town of Light è stato praticamente automatico.
Non ho provato Blackstone, ma lo proverò sicuramente!
Ho sentito in un’intervista che il gioco è stato realizzato principalmente per il tuo interesse nella storia delle istituzioni psichiatriche e nelle malattie mentali. Data la fedeltà nella ricostruzione dei luoghi, posso immaginare abbiate fatto anche dei sopralluoghi direttamente nella struttura, ti va di condividere qualche sensazione al riguardo?
Effettivamente la malattia mentale è qualcosa che mi ha sempre affascinato e spaventato allo stesso momento. I metodi con cui veniva trattata nel passato sono un amplificatore di questo personale interesse.
Visitare l’ex manicomio di Volterra è stata una esperienza particolare che si è evoluta assieme allo sviluppo di The Town of Light.
Dalle prime visite non ufficiali, adrenaliniche, che mi hanno convinto a realizzare The Town of Light, alle visite approfondite ufficiali ed istituzionali grazie alle quali è stato possibile approfondire la conoscenza del luogo e della sua storia.
In ogni caso la componente emozionale è sempre rimasta viva, nonostante le numerosissime visite infatti, il luogo continua ad esercitare il suo incredibile fascino, quel potentissimo mix di attrazione-repulsione, di bellezza e paura che ho cercato di riportare nel gioco.
Al di là del tuo personale interesse e fascino per le malattie mentali, ci sono stati giochi o opere letterarie che hanno influenzato il tuo approccio alla storia di Renée?
“Diario di un schizofrenica” è stato il libro che maggiormente mi ha ispirato, assieme a “manicomio dimenticato” di Gilberto Dipetta.
Tra le opere videoludiche o cinematografiche, direi “C’era una volta la città dei matti” di Marco Turchi e “Dom durakov” di Andrej Končalovskij
Com’è stato lo sviluppo del gioco, anche dal punto di vista emotivo, visto che si tratta di una storia molto carica emotivamente? Ho letto delle notevoli difficoltà nell’autofinanziamento (se mi vuoi fornire qualche dettaglio in più sul fallimento di Kickstarter e Indiegogo magari), ma come sono state le reazioni dei distributori dopo che siete riusciti a sbarcare su Steam e ad aver successo con una tematica così “pesante” e fuori dalla narrativa consueta?
Emotivamente lo sviluppo del gioco è stata una esperienza incredibile. Mi sono trovato spesso con le lacrime agli occhi mentre leggevo e scrivevo. Non sono stato l’unico del team, sono tematiche assurde, ti entrano dentro, e scavano molto a fondo.
Finanziariamente è stata dura. Tutto il team ha autofinanziato il progetto con il proprio lavoro full time, abbiamo anche dovuto affrontare delle spese vive e la speranza era con indiegogo (kickstarter non lo abbiamo fatto) di coprirle almeno in parte, ma così non è stato. Non abbiamo fatto una buona comunicazione e le cose sono andate male.
Abbiamo la testa dura però, e siamo andati avanti fortunatamente.
Approdato il gioco su Steam inizialmente è andato mediamente bene, non tanto bene da poter giustificare economicamente tutta l’operazione.
Dopo un anno abbiamo deciso di lavorare con Wired production, che a dire la verità già ci aveva offerto supporto per la versione PC, supporto che, però, non abbiamo accettato per il semplice motivo che non ci sentivamo di prenderci una responsabilità così grossa. Era in nostro primo gioco e non sapevamo neppure se saremo stati in grado di portarlo a termine.
Con Wired abbiamo realizzato il porting PS4 e XBoxOne e le cose hanno iniziato ad andare diversamente anche per la veriosne PC.
Oggi The Town of Light sfiore le 150.000 copie su Steam e continua ad essere un prodotto commercialmente vivo. Un risultato impensabile solo 2 anni fa.
Grande soddisfazione, la caparbietà ha pagato ed un progetto che sembrava impossibile è diventato una bella realtà.
Qual era il messaggio principale che voleva trasmettere al giocatore, come vi aspettavate che reagisse?
Lo scopo principale del gioco è quello di creare empatia tra il giocatore e la protagonista al fine di destigmatizzare la malattia mentale e chi ne è affetto.
Secobndariamente mi sembra importante non perdere la mempria di quello che i manicomi sono stati e hanno rappresentato. Oggi non esistono più, ma perdere la memoria è sempre il primo passo da fare per ripetere gli stessi errori del passato.
Renée era una ragazza sensibile e molto intelligente, spero che il giocatore possa affezionarsi a lei, possa comprendere l’orrore della sua malattia e di come veniva trattata.
I malati di mente meno di 100 anni fa non venivano considerati persone e ancora oggi lo stigma pesa.
Ho visto che sono state realizzate anche diverse edizioni fisiche del gioco stesso. E’ qualcosa a cui tenevi particolarmente, magari dall’inizio, o è stato incidentale? Qual è il tuo pensiero sulla crescente ed inevitabile digitalizzazione del videogioco?
E’ stata una grande soddisfazione ed una grande dimostrazione di sensibilità da parte di Wired Production.
La digitalizzazione è inevitabile e credo sia inevitabile e anche positiva, quanto meno in termini ambientali!
Da un punto di vista commerciale tutto sta cambiando molto velocemente, è finito il momento magico del self publishing, il mercato digitale sta diventando sempre più compolesso.
Le edizioni fische continueranno ad esistere, spero, soprattutto per quanto riguarda edizioni particolari, da collezione, da appassionato.
Riguardo Martha is Dead, al di là dell’ovvia curiosità di provarlo, quali sono le lezioni imparate dall’importante esperienza con ToL e come stanno influenzando lo sviluppo del nuovo titolo? Ci saranno di nuovo le malattie mentali nella vicenda?
Abbiamo imparato tantissimo da The Town of Light, ma sviluppare un gioco è qualcosa di molto complesso e gli errori non mancano, credo che occorra imparare a sapere che ci saranno sempre, che faranno parte dello sviluppo stesso del titolo per essere sempre pronti a reagire, a crescere, a migliorare.
La prima grande lezione è stata: vuoi una grafica 3D di alta qualità senza impazzire? Abbandona Unity e passa ad Unreal
Il Martha is Dead il disagio psichico sarà ancora una volta protagonista, ma in modo completamente differente, è un gioco più vario e movimentato con diverse possibili letture.
Dimmi qualcosa sul tuo background prima di ToL e di LKA.
Vengo dal mondo della grafica 3D e della scenografia virtuale. Produzioni teatrali e liriche, documentari, beni culturali erano i miei settori, fare un videogioco è sempre stato il mio sogno e ti assicuro che ancora mi stupisco quando penso che è diventata una realtà.
Hai detto che non nasci come sviluppatore di videogames. Conoscendo la realtà del nostro Paese, quanto è stato faticoso il percorso per la realizzazione del tuo progetto? E’ stato difficile fare affidamento alle tue competenze per cimentarti in qualcosa di completamente nuovo? Hai ricevuto supporto morale o sei stato ostacolato da chi avevi intorno?
In Italia è difficile, si parla tanto e non si fa niente.
Quando passò la legge cinema nel 2016 io ero ingenuamente ottimista, poteva cambiarci la vita con tax credit, contributi selettivi e diretti, ma sono passati più di 3 anni e non esiste un solo decreto attuativo, niente.
Chi dovrebbe occuparsi di portare avanti le cose lo fa così male da far quasi pensare alla cattiva fede.
Ti confesso che a più riprese l’idea di fare le valige emerge ed è tristemente sempre più forte.
Al di la di tax credit e contributi esistono soldi pubblici (eu) per finanziare prodotti culturali tra cui anche videogiochi, ma non vengono spesi! I bandi non vengono fatti e gli anni passano. Si può essere più stupidi?
Meno male che siamo in europa. Noi abbiamo ottenuto i finanziamenti di Europa creativa e ci stiamo muovendo per i fondi di garanzia, sempre di EuropaCreativa.