La storia di Sega in Italia è una importante, che ha segnato anni di promozione ben congegnati e pensati. Eppure, viene spesso dimenticata, a favore di un racconto della storia dei videogiochi influenzato da eventi che hanno interessato più gli Stati Uniti e che, in alcuni casi, non hanno avuto alcun impatto sul mercato europeo. Forse, la principale tra queste narrative è la mitologica battaglia Sega Vs Nintendo, consumata negli anni ’90 a suon di spot e slogan che si ergevano a veri e proprio sfottò.
Se ci fermiamo a ricostruire con attenzione cosa successe all’epoca, però, noteremo che gli eventi presero una piega ben diversa. Negli anni ’80, attraverso massicce campagne di marketing e accordi con distributori in paesi come la Germania e la Spagna, Sega fu la prima azienda giapponese produttrice di videogiochi a conquistarsi una generosa fetta di mercato nel vecchio continente.
La console 8-bit, il Sega Master System, trovò relativamente poca resistenza in paesi come il Regno Unito, dove Nintendo faticava ad emergere e fino al 1989, non sembrava aver conquistato numeri significativi.
In Italia, nel frattempo, il mercato videoludico era dominato specialmente dagli home computer (Commodore 64, MSX e Spectrum tra gli altri) e ampiamente influenzato dalla pirateria. Le poche console effettivamente disponibili sul mercato – Atari 7800 e Mattel Intellivision – pur apprezzate, presentavano percentuali di mercato sicuramente minori. L’arrivo di Nintendo, tramite la distribuzione con Mattel dopo la sfortunata parentesi con Wonderland, conquistò parecchi cuori, ma – anche qui – non sembrò portare quella rivoluzione del mercato avvenuta, per motivi diversi, negli Stati Uniti.
Sul fronte del marketing, poi, non abbiamo vissuto la cosiddetta Console War, complice anche il fatto che in Italia, a differenza di quanto avveniva oltreoceano, la pubblicità comparativa (esplicita) era vietata, almeno fino al 2000. Niente spot immarcescibili in stile “Sega does what Nintendon’t”, quindi, al limite si poteva consumare qualche battaglia tra una ricreazione e l’altra, in classe o in cortile, tra fan del baffuto idraulico o del porcospino blu.
Successivamente. negli anni ’90, l’Italia si rivelò davvero essere il Paese dei Balocchi per l’azienda di Shinagawa: un riferimento collodiano decisamente non casuale. Fu proprio attraverso l’accordo con un’importante azienda di giocattoli di Milano che la storia d’amore tra l’Italia e Sega diede i suoi frutti migliori, anche se, come vedremo, non senza qualche mela marcia.
Tutto inizia con una singola moneta
Prima di arrivare alle console, però, dobbiamo obbligatoriamente fare una tappa in sala giochi, dove – a differenza di Nintendo – Sega godeva di una presenza di assoluto rilievo.
Negli anni ’80 e primi ’90, la distribuzione dei coin-op Sega in Italia fu gestita da Elettronolo, azienda fiorentina diretta da Tiziano Fagioli. Su quel fronte non ho trovato molte altre notizie, purtroppo.
Dal 1993 i cabinati Sega passano nelle mani di Tecnoplay, azienda di San Marino tutt’ora in attività. L’attuale direttore commerciale, Mauro Zaccaria, racconta che fu il padre Marino a fondare l’azienda, avendo, già dagli anni ’70, intrattenuto rapporti d’affari con nomi importanti del mercato videoludico.
Proprio attraverso queste conoscenze, l’azienda sammarinese prende contatti con Mario Cotza, all’epoca direttore esecutivo e presidente della divisione “Sala Giochi” (Amusements) di Sega of Europe.
Fu proprio Cotza a portare avanti l’accordo commerciale tra le due aziende, d’altronde Tecnoplay era già un’importante presenza sul mercato, distribuendo slot machine e flipper per conto di Sega Pinball, precedentemente nota come Data East.
Ogni anno – ricorda Mauro – un gran numero di cabinati Sega entravano nei bar e sale giochi, almeno fino al 2005. Lui stesso era grande fan di Virtua Fighter, ricordato con particolare affetto in quanto suo primo prodotto venduto; lo sento sospirare quando mi ricorda che non diventò mai titolo di gran successo in Italia, specie rispetto al più celebrato Tekken.
In compenso, un coin-op come World Club Champion Football da noi ebbe ottimi riscontri, così come in Giappone, mentre fu sostanzialmente ignorato nel resto del mondo. Molti cabinati, poi, non sono mai arrivati nel Belpaese per volontà insindacabile della stessa Sega, oppure in seguito a test effettuati sul campo che diedero esito negativo.
Chiedo poi a Mauro se vi fossero regioni italiane maggiormente floride sul fronte sala giochi. Mi risponde che, in generale, il nord è sempre stato più fiorente da questo punto di vista, ma, comunque, in rapporto alle potenzialità di acquisto di una zona, un prodotto di successo funzionava allo stesso modo in tutta Italia.
Zaccaria ricorda anche con piacere quando l’azienda giapponese chiamò Tecnoplay durante la pianificazione dei seguiti di House of the Dead e Sega Rally. Le due aziende scelsero alcuni luoghi da includere nei due giochi, fotografando e visitando diverse città d’arte tra cui Firenze, Venezia e Bologna. Mauro menziona in particolare l’invito alla presentazione del seguito di Sega Rally: Tecnoplay andò a Montecarlo per un emozionante giro su una macchina da Rally omologata su strada.
Sega era davvero in cima al mondo, allora.
Sega arriva nelle nostre case
Arrivando, finalmente, all’universo casalingo, la storia di Sega nel Paese dei Balocchi inizia ufficialmente a metà anni ’80, proprio con un home computer: il Sega SC-3000. Fu Melchioni, conosciuta per aver distribuito sul territorio italiano alcune delle prime console Atari nonché diversi videogiochi per Commodore 64, la prima a distribuire un prodotto della Service Games sul mercato nostrano.
L’azienda milanese, dopo aver ottenuto un contratto di distribuzione esclusiva in seguito a una visita in Giappone, aveva previsto un ricco budget pubblicitario, così da far concorrenza allo strapotere Commodore.
Il fato, però, ci mise lo zampino: un incendio distrusse un intero magazzino di costosi rasoi elettrici Philips. Per ripianare le perdite, Melchioni fu costretta a stringere la cinghia e tagliare, tra gli altri, il budget precedentemente assegnato alla promozione del computer Sega.
Fato volle, quindi che l’SC-3000 riuscì a vendere pochissime unità, a quanto pare non più di poche centinaia. Da quel che risulta, Melchioni non sembra esser stata successivamente coinvolta con altri prodotti Sega.
Il Sega Master System fu, difatti, distribuito da un’altra azienda, la NBC Italia. Dopo averla, probabilmente, adocchiata a qualche fiera europea, la relativamente sconosciuta azienda milanese tradusse il manuale e distribuì la console, senza molti fronzoli, dal novembre 1986 fino al 1988.
A quanto pare, NBC si limitò semplicemente ad adattare per il nostro paese uno spot televisivo precedentemente destinato al pubblico europeo. Per quanto sia possibile saperne, l’azienda non sembra aver mai impresso il proprio logo sugli involucri della console stessa. Come avessero idea di vendere una console di un’azienda sostanzialmente ignota in Italia, in quell’epoca e con un marketing talmente limitato, rimarrà per sempre un mistero. Quel che è certo è che i risultati di vendita furono, comprensibilmente, non certo esaltanti.
Questa che segue è la lettera datata 20 novembre 1986 in cui la NBC Italia annuncia l’importazione in Italia del Sega Master System. Era stata inviata a tutti gli abbonati della defunta Videogiochi Jackson. Grazie a Simone Bregni, dal gruppo Vintage Console, per il ritrovamento.
Cosa sia successo nel 1987 non ci è dato saperlo, per ora, quel che è chiaro (anche dalla lettera) è come l’NBC Italia non fosse proprio a suo agio nel marketing delle console. L’azienda giapponese, non soddisfatta dall’approccio poco ambizioso dell’azienda milanese, prese ben presto la decisione di contattare un partner ben più esperto: Giochi Preziosi.
Giochi Preziosi è la creatura di Enrico Preziosi, imprenditore originario di Salerno “fatto da sé” che ha mosso i primi passi lavorando in Philips negli anni ’70. Dopo alcuni anni di lavoro, Preziosi si lascia alle spalle l’esperienza con il colosso olandese, arrivando a creare, nel 1978, una piccola impresa nel proprio garage, importando giocattoli dalla Cina per poi rivenderli nell’hinterland milanese.
Neanche dieci anni dopo, da quegli inizi umili, ritroviamo la sua azienda incaricata della distribuzione di alcuni tra i giocattoli più apprezzati dai bambini e ragazzi degli anni ’80: Power Rangers, I Cavalieri dello Zodiaco, Tartarughe Ninja e, in seguito, Pokémon.
Un’importante occasione per l’azienda di Preziosi arriva quando, a metà anni ottanta, Silvio Berlusconi decide di puntare con decisione sui programmi e cartoni animati per ragazzi, con cui riempire i palinsesti pomeridiani delle sue tre reti. Se ritorniamo con la mente al 1984, viene facile pensare come solo un’azienda leader come GiG avesse le risorse finanziare per produrre così tanti spot per tanti prodotti diversi.
Eppure, ben presto Giochi Preziosi riesce a ritagliarsi uno spazio in tv piuttosto generoso: non a caso, alcuni addetti ai lavori pensano a un accordo economico tra Berlusconi e Preziosi, così da mantenere una situazione di parità tra le varie aziende.
Nel 1990 Preziosi aveva già creato la propria catena di negozi di giocattoli, Giocheria, finanziata in parte anche da Silvio Berlusconi, potendo anche contare sull’appoggio del Cavaliere per distribuire i propri prodotti nella catena di supermercati Standa. Nel 1995, Giochi Preziosi arriverà a detenere il 100% sui negozi Giocheria e, con Standa, a creare una holding che controllerà anche le catene di negozi di giocattoli Grazzini e Toys Center.
Come vedremo, Giochi Preziosi arriverà a investire su Sega importi mai visti prima in Italia per il marketing dedicato ai videogiochi; non solo sulle emittenti del Biscione, ma arrivando anche a produrre una trasmissione come Usa Today su Odeon.
Giochi Preziosi inizia il marketing in TV
Nonostante il nome Giochi Preziosi sia tradizionalmente legato alle console Sega, ironia della sorte volle che tra i primi prodotti videoludici distribuito dal noto marchio di giocattoli ci fu lo scacciapensieri (così come venivano definiti all’epoca) Nintendo Game & Watch. Anni prima dell’accordo videoludico con Mattel e – successivamente – con GiG, i tascabili Nintendo venivano distribuiti proprio dall’azienda milanese, oltre che dalla OTO di Roma.
Lo spot Game & Watch di Giochi Preziosi del 1986 è un elemento prezioso per inquadrare al meglio l’evoluzione del marketing videoludico televisivo in Italia.
Il Game & Watch che vi dà l’elettroshock è una di quelle rime da far impallidire i peggiori trapper.
Il pubblico di riferimento per gli scacciapensieri, all’epoca, sembrava essere sostanzialmente coincidente con quello generalista dei giocattoli: maschi e femmine tra gli 8 e i 10 anni (bambine che giocano ai videogiochi! O tempora o mores!). Strappa un sorriso sentire, nello spot, Mario Bros chiamato “Marios”, sarà stato forse per rendere tutto più sincopato?
L’approccio tra il casuale e il raffazzonato al prodotto “videoludico” sembrerebbe coincidere con quanto Giuliano Doccioli – ex pubblicitario GiG – mi raccontava a proposito dello scalpore che destarono tra gli addetti ai lavori i primi spot di Preziosi a metà anni ’80. Lo stile era definito ironicamente “brutalismo” per precisi motivi: canzonette orecchiabili (spesso ricamate su motivi di moda del momento), slogan memorabili e montaggio frenetico.
All’epoca gli spot dell’azienda milanese erano realizzati dallo studio Diaframma, agenzia pubblicitaria fiorentina che – guarda caso – aveva la sede proprio accanto a Studio Mark che, invece, si occupava di GiG. Sembrebbe quasi che il capoluogo toscano avesse un collegamento mistico con l’azienda giapponese. Giuliano si ricorda di quando l’allora proprietario di GiG, Gianfranco Aldo Horvat, lo incaricò di studiare attentamente gli spot di Preziosi, così da sviscerare il segreto del loro successo. Ma – ricorda con una risata – non c’era proprio alcun segreto! Doccioli ebbe l’occasione, anni dopo, di parlare con il direttore di Diaframma, Daniele Abolaffio, scomparso qualche anno fa e responsabile di molti delle “geniali” pubblicità di Preziosi, a proposito di quale fosse l’ingrediento segreto di questa miscela di successo. Questi gli rispose con verace accento toscanaccio: “ma che segretho e segretho, la facevo un lavoro così, alla Andy Warhol, si finiva prima che c’avevo furia d’andà a mangia’ le paste!”.
L'Italia conosce il Master System
Nel 1988, Giochi Preziosi acquista le rimanenze e l’invenduto da NBC Italia, iniziando la “nuova era” aggiungendo il proprio logo e stile al Master System. Si vocifera che fu proprio il patron Enrico a decidere la pronuncia di Sega all’americana, per ovvi motivi, ma su questo non c’è modo di avere conferme. Dario Berté, responsabile marketing per Sega, mi racconta che il referente interno di Sega era Shigekazu Hayashi, direttore marketing per Sega of Europe. A proposito del rapporto con Mr. Hayashi, Berté conferma come questi fosse sempre molto aperto a ogni proposta dell’azienda italiana, senza mai avanzare richieste peculiari, come invece successo a GiG con Nintendo. D’altronde, già allora Sega aveva una concezione del marketing radicalmente diversa rispetto alla casa di Super Mario: non si sarebbe fatta scoraggiare da nulla pur di mantenere quella faticata fetta di mercato in Europa.
Eppure la “nuova era” tarderà ad arrivare, con alcune riviste di settore che – a metà 1989 – ancora lamentano scarsità di Master System nei negozi. Bisognerà aspettare Natale dello stesso anno per osservare, teoricamente, il sorpasso sul NES da parte dell’8-bit Sega. Inizialmente, Preziosi non sembrava avere intenzione di sperimentare col marketing videoludico, non allontanandosi dal recente passat e riducendo il “brutalismo” all’osso.
Nonostante fossero sempre prodotti dall’agenzia Diaframma, i primi spot risultano piuttosto convenzionali: niente strane idee, niente canzonette, neanche un bambino che prendesse l’elettroshock. Solo un ragazzino biondo che gioca, con un’aria quasi professionale, nonostante dei vistosi e, francamente, poco comodi occhiali 3D. Lo stesso ragazzetto ritorna più volte in altri spot Sega dell’epoca, quasi una mascotte ormai dimenticata.
Fa sorridere il labiale completamente fuori sincrono e un doppiatore, non propriamente in età adolescenziale, che utilizza cura maniacale nel pronunciare quelle “buffe parole” inglesi. Apprezzabile l’attenzione ai dettagli, certo, ma la qualità media era poco superiore a quella degli spot di una tv locale.
La rivoluzione sul lato delle pubblicità in televisione arriverà solo nel momento in cui Preziosi deciderà di fondare, a inizio 1991, la propria azienda pubblicitaria a Milano, Winter Video, incaricata da subito del marketing dei giocattoli e videogiochi per tutti gli anni ’90. La differenza nell’approccio si evidenzia fin da subito, con risultati di mercato che non tarderanno ad arrivare. È proprio dal 1991 che Giochi Preziosi s’incammina sulla strada dei testimonial di successo. La prima scelta fu piuttosto ovvia: Walter Zenga.
Francesco Malaspina, attuale titolare di Winter, ricorda con piacere quegli anni e mi racconta come i calciatori furono una novità assoluta per il marketing di giocattoli e, d’altronde, quale miglior scelta di Zenga? All’epoca il nostro era, tra le altre cose, portiere della Nazionale e una faccia sicuramente conosciuta anche dai più giovani.
Eccolo qui proprio accanto al nostro caro ragazzino biondo.
Rispetto all’anno precedente, lo spot ha uno stile più ricercato e un montaggio maggiormente efficace. Il ragazzino biondo ha perlomeno una voce credibile, mentre Zenga sembra abbastanza annoiato, ma immagino sia comprensibile. Le cartucce vengono ancora chiamate “cassette”, però, il che è curioso visto che gli stessi manuali Sega usavano la terminologia corretta. Considerando come gli stessi manuali – multilingua – fossero spesso tradotti in italiano con delle discrete sviste (1-up tradotto “una su”), si potrebbe ipotizzare che arrivassero a Giochi Preziosi già tradotti da un’agenzia di localizzazione a livello europeo.
Sul lato prezzi, Master System distribuito da Preziosi si aggirava probabilmente su un prezzo tra le trecento e le duecentocinquantamila lire, almeno nel 1990, circa attuali 250 euro. Giochi Preziosi iniziava anche con quelle che diventeranno una caratteristica tipica del marketing in Italia: promozioni curiose. In questo caso, un bel pallone di cuoio in omaggio insieme alla console. Nel 1990, d’altronde, i mondiali di calcio si giocavano proprio nel Belpaese: per celebrare uno dei maggiori eventi sportivi della decade, aveva sicuramente senso invogliare i bambini a comprare il mediocre World Soccer per Master System.
Il titolare di Winter Video racconta di come gli spot con i calciatori fossero tra i primi registrati direttamente su video, invece che su pellicola: non c’era quindi alcun problema economico nel continuare a registrare anche mentre i calciatori dimenticavano le battute.
Non a caso la parte del filmato più divertente, con Mancini e Zenga che sbagliano le battute e ridono, finirà anche alla trasmissione, di Canale 5, Paperissima nel medesimo periodo.
Francesco Malaspina ricorda con affetto quegli anni, in cui gli spot venivano girati con molta spontaneità e senza enorme progettualità: si partiva da uno storyboard da cui poi si decidevano le battute e – presto fatto – si andava a girare. Negli anni successivi al 1990, altri giocatori come Roberto Mancini e Gianluigi Lentini entrarono nella “squadra vincente di Sega”, nel 1993 arrivò perfino un ciclista campione del mondo come Gianni Bugno.
Francesco ricorda in dettaglio la collaborazione con il famoso sportivo: l’idea dietro allo spot era di restituire ai giovani spettatori un piccolo giro d’Italia, nonostante tutto fosse girato in alcuni luoghi intorno Milano in una giornata di marzo. Sulla sponsorizazzione, Leonardo Coen, in un articolo su Repubblica, menziona come Bugno come testimonial costò a Giochi Preziosi qualcosa come trecento milioni di lire.
Parlando dei testimonial, Berté conferma che i calciatori furono una scelta logica perché erano specialmente i titoli sportivi legati alle console Sega che andavano forte con il pubblico di riferimento. E, tra tutti, ovviamente, il calcio. Spot successivi adottarono perfino lo slogan “Sega, giochi da campioni”. D’altronde, anche in America, Sega aveva iniziato nello stesso periodo a competere seriamente contro Nintendo proprio grazie all’ampia selezione di titoli su licenza legati a sport come baseball, hockey e football americano.
È il caso di dirlo, squadra che vince non si cambia.
Arrivano i 16-bit
Sega Megadrive, presentato nel 1990 alla fiera SIM Hi-Fi a Milano, fu lanciato ufficialmente in Italia qualche mese dopo, nel novembre dello stesso anno. Fino al 31 dicembre disponibile solo nei negozi Giocheria, a partire dal primo gennaio 1991 anche in tutti gli altri. Il prezzo originale era piuttosto ragionevole, 399.999 mila lire, intorno ad attuali 320 euro circa, con un prezzo delle cartucce che oscillava tra le 69 e le 99mila lire. La prima versione della console sarebbe arrivata nei negozi in bundle con il titolo Altered Beast e circa altri ventiquattro giochi immediatamente disponibili nei negozi.
Dario Berté, intervistato dalla rivista K in occasione della presentazione del Megadrive, dichiarò:
“Crediamo che esistano due segmenti di mercato. Il Master System sarà il primo approccio per i ragazzi al di sotto dei 14 anni, per quelli dai 14 anni in su invece punteremo sul Megadrive.”
Sembrerebbe quasi voler dire che più semplice è la grafica e più il gioco risulterebbe accessibile ai bambini. Con il fatto che per descrivere una difficoltà elevata, oggi, si utilizza spesso proprio il termine “old school” o addirittura “Nintendo hard”… beh, non si tratta proprio di un’affermazione ben invecchiata.
Immagino si trattasse di semplice psicologia inversa per pubblicizzare il Megadrive: far capire ai bambini che sarebbero rimasti indietro, se non avessero adottato in fretta la console a 16-bit. Il salto di generazione fu anche accompagnato da un importante cambio di marcia da parte dell’azienda di Preziosi sul marketing, insieme a un evidente aumento del budget pubblicitario. Resta qualche ragionevole dubbio se questo nuovo approccio alla pubblicità, poi, coincida con quella maturità, nel senso stretto di passaggio dall’età infantile a quella adulta, che Berté sembrava promettere.
Proprio in questo periodo, infatti, arriva il nome che molti ancora associano a Sega negli anni 90 in Italia: il testimonial definitivo, Jerry Calà.
Difficile trovare un bambino cresciuto negli anni ’90 che non conosca l’attore catanese, all’epoca noto per commedie che oggi avremmo qualche remora a definire “adatte ai ragazzi”. D’altronde, basti pensare come gran parte dei suoi immortali slogan fossero a sfondo sessuale, su tutti il classico “libidine, doppia libidine”!
Interrogato sulla peculiarità del testimonial, Berté menziona la popolarità dell’attore stesso, soprattutto con famiglie e bambini – nonostante il Mega Drive fosse, a quanto pare, consigliato per i ragazzi dai 14 anni in su. Ovviamente, all’azienda di Preziosi tornava utile specialmente la capacità di Calà di riuscire a vendere un prodotto attraverso l’uso di slogan preconfezionati.
Gli fa eco Francesco Malaspina: Calà era uno che funzionava, sembrava proprio piacere a tutti. A quanto pare, continua il titolare di Winter video, il famoso slogan “ocio però” fu inventato da Calà e Preziosi proprio per focalizzare l’attenzione dei bambini sul marchio, così da sincerarsi di non comprare console d’importazione, dove chiaramente Giochi Preziosi non poteva garantire l’assistenza (e non guadagnava nulla).
Rivedendo certi spot quasi trent’anni dopo, in un periodo sicuramente più politically correct, la scelta di utilizzare come testimonial per un prodotto rivolto comunque a bambini e ragazzi un attore come Jerry Calà, non mancherà di suonare bizzarra. D’altronde, avendo visto come i calciatori funzionassero in quanto a testimonial, il passo successivo per l’azienda milanese era di alzare il tiro: ci voleva un uomo di spettacolo.
La figura del cantante – o meglio, del rapper – era già stato utilizzato da Mattel per Nintendo, d’altronde, con risultati non esaltanti, quindi qualcuno che potesse tenere un dialogo diretto con il pubblico era particolarmente gradito. E, per quanto riguarda Sega, sicuramente l’azienda giapponese era più che contenta di lasciare che Giochi Preziosi facesse il marketing a modo suo, almeno finché i risultati di vendita fossero soddisfacenti.
Malaspina ricorda bene come questo spot fu tra i primi in Italia a usare grafica 3D, oltre a utilizzare lo speaker Franco Ferri, ribattezzato in azienda come “la voce di Dio”. L’idea era che a ogni piano ci fosse un diverso testimonial che giocava con una console Sega, più il tocco umoristico finale con Calà, lasciato fuori al freddo, che si “consolava” con Game Gear.
Con l’adozione dell’attore come testimonial, gli sportivi iniziano, gradualmente a uscire di scena con la consguenza che gli spot Sega diventano meno strettamente legati al prodotto, almeno rispetto al passato. Francesco ricorda che c’era sempre voglia di divertire e divertirsi, senza grossi studi a tavolino degli spot o particolari aspettative commerciali.
Mentre Calà e gli sportivi erano onnipresenti, Malaspina ricorda, però, un testimonial ancora più particolare per Sega: l’attore americano Ian Ziering.
Calà e i suoi fratelli: i testimonial "Sega"
Conosciuto, all’epoca, specialmente per le sue apprezzate apparizioni televisive nel ruolo di Steve Sanders in Beverly Hills 90210, Malaspina racconta che l’attore americano fu contattato durante un tour europeo in cui Ziering si metteva a disposizione di chi fosse interessato a ingaggiarlo. Lo spot fu realizzato in un paio d’ore e, siccome l’attore non aveva certamente tempo e modo d’imparare l’italiano, invece che doppiarlo, il direttore ricorda orgogliosamente l’originale idea del “karaoke” con i sottotitoli. Francesco racconta che fu girato nel suo stesso studio e, tutt’ora, lo menziona come un’esperienza piacevole, anche se poi lo slogan “Non c’è paragone” fu richiesto da altri e non più utilizzato per Sega.
In quanto a testimonial, però, Giochi Preziosi finì con utilizzarne uno ben più famoso, perfino rispetto a un attore americano, stavolta mettendolo vicino proprio allo stesso Calà. Per la prima volta nella storia del marketing in Italia, un personaggio dei videogiochi s’intrattiene con un testimonial in carne e ossa.
Infatti con l’immancabile successo di Sonic anche in Italia, arrivato a essere adorato quasi subito da tutti i bambini, l’ovvia conseguenza sul lato marketing è che Giochi Preziosi si affretta a cavalcarne la notorietà. Non solo attraverso gli immancabili prodotti legati in qualche modo a Sonic, ma anche con degli spot animati con il nostro amato supersonico porcospino blu che ora – ahimé – parla!
Nonostante Wikipedia indichi che fosse proprio lo stesso Calà a doppiare Sonic negli spot, Malaspina è stato veloce a smentire la fonte: non era dell’attore catanese la voce, bensì di uno speaker ingaggiato da Giochi Preziosi. In assenza di ulteriori prove concrete, però, penso che sia ragionevole ipotizzare che lo spot realizzato di Giochi Preziosi rappresenti la prima volta in assoluto – forse a livello mondiale – che Sonic venisse doppiato.
Difficile anche trattarsi di una coincidenza che il cartone del porcospino blu – chiamato genericamente in rete Sonic SatAM – realizzato successivamente, sarà co-prodotto proprio da Reteitalia, l’azienda di Silvio Berlusconi. Nella serie animata, tramessa da Italia 1 dal 93 al 94, fortunatamente il nostro amico blu era doppiato dal fido Pietro Ubaldi. Personalmente, pur essendo nella fascia d’età giusta, non ho alcun ricordo di aver mai visto il cartone in televisione, probabilmente non è mai stato replicato negli anni successivi, ma su questo non ho fonti concrete.
E tornando un attimo sui testimonial: Calà non è la sola connessione tra mediocri film comici italiani e i videogiochi Sega. Un altro big della commedia all’italiana dalla poca spesa e massima resa, Massimo Boldi, nel 1998 interpretò il protagonista in Cucciolo, una sorta di pessima versione di Jack con Robin Williams.
Il nostro veste i panni di un dodicenne, intrappolato nel corpo di un quarantenne – ruolo che a quanto pare gli è molto caro – che trascina i genitori a SegaWorld, l’ormai defunta sala giochi che si trovava nel Trocadero a Londra. Indimenticabile il toccante momento in cui l’allora 43enne Boldi finge di giocare a vari cabinati mentre urla “SEGA WORLD! SEGA WORLD!”.
Game Gear in Italia: un successo inatteso?
Fino a quando GiG riprese in mano le redini del marketing Game Boy, generalmente non molto considerato da Mattel, in Italia la console portatile che conseguì il maggior successo nel minor tempo era probabilmente (purtroppo trovare dei dati di vendita certi pare sia cosa impossibile) il Sega Game Gear.
Il successo era dovuto non solo all’attraente design e allo schermo a colori, ma anche alla campagna promozionale di Giochi Preziosi che lo spiattellava in continuazione nelle nostre faccine sporche di latte e CocoPops. Ripensando ai primi anni Novanta, il marketing faceva furbescamente leva su una precisa caratteristica del Game Gear che – a ben vedere – esulava dalla funzione puramente ludica: il TV Tuner, accessorio per sintonizzarsi su vari canali televisivi.
La scelta non era certo casuale. Se riprensiamo ai primi anni novanta, è facile rendersi conto come non tutti i bambini italiani avessero la fortuna di poter avere un televisore in camera. La possibilità di vedersi una puntata di Batman o Darkwing Duck a letto o in macchina, con le cuffie, poteva facilmente assumere le sembianze di un sogno. Ma, ahimé, si trattava di materiale onirico non proprio a buon mercato: Gear costava quasi il doppio di un Game Boy, circa 260 euro odierni, a cui ne bisognava aggiungere altri 100 euro per mettere le mani sul tanto agognato Tv Tuner.
Non dimentichiamoci, però, anche del palese vantaggio che Game Gear poteva vantare rispetto al concorrente Game Boy: esattamente come un presidente degli Stati Uniti degli anni Ottanta, era bello in televisione. La console portatile Nintendo aveva uno schermo in bianco e nero (o meglio, grigio e verde) e, conseguentemente, riuscire a mostrare i titoli nei vari programmi o negli stessi spot non era certo cosa agevole, perlomeno se si voleva cercare di mantenere la cosa minimamente realistica. E’ facile immaginare, dunque, come Game Gear facesse colpo sul giovane pubblico, inconsapevole dei problemi derivanti dalla scarsa autonomia della console portatile stessa.
In uno degli ultimi spot realizzati per Giochi Preziosi, Jerry Calà prova a lanciare un ulteriore nuovo slogan “Seeeeeeeega” per Gear, ma questo, a quanto pare, non ebbe la stessa fortuna di “ocio però”. Nonostante l’onnipresenza del TV Tuner e la spinta marketing su quanto fosse superiore lo schermo della console portatile Sega, di certo era difficile ritenere il Gear anche lontanamente ideale per guardare la TV.
Immaginarselo oggi è difficile, ma sostanzialmente era come vedere Domenica Sprint su uno schermo da 3,2 pollici con una pietosa risoluzione di 160×146. Insomma, alla difficoltà visivia bisognava anche aggiungere il costo non indifferente legato al dover rimpiazzare continuamente le batterie.
Nonostante tutti questi contro, Berté conferma che Game Gear rimase uno dei più grandi successi Sega in Italia, almeno fino a metà anni ’90. Un fortunato destino non condiviso da Sega Pico, console dedicata ai più piccoli importata e distribuita in Italia sempre da Giochi Preziosi. Il direttore del marketing conferma che non riscontrò mai soddisfacenti risultati di vendita. Rimane, oggi, solo una curiosità per appassionati.
E a proposito di Domenica Sprint, perché costringersi ad acquistare un Game Gear quando se ne poteva vincere uno? Si poteva partecipare al concorso, grazie alla promozione Giochi Preziosi legata proprio al programma sportivo della domenica sera di Rai Due. In alternativa alla portatile, era anche possibile vincere un Mega Drive “con cassetta gioco” Compilando una cartolina con il nome del calciatore che aveva segnato il gol più bello, si partecipava a un’estrazione a premi valida per tutta la stagione 92-93 del campionato di calcio. A quanto pare, Sega si era davvero trasformata nel Pippo Baudo del mondo videoludico: una presenza ineluttabile su ogni canale.
Se, però, parliamo di promozioni e concorsi legati a Sega, dobbiamo ricordare come l’attore catanese fu il portavoce di quella che, con gli anni, è diventata probabilmente la più famigerata tra le tante inventate da Giochi Preziosi e che conosciamo col nome di…
Sonic Badge: sogno, realtà o... pubblicità ingannevole?
La Sonic badge (o bayg’, come pronuncia il buon Jerry) è una spilletta, a immagine e somiglianza del porcospino blu, regalata a chiunque acquistasse una tra le console Sega: dal Mega Drive al Master System. A partire dal mese di ottobre e fino al 31 dicembre 1992, indossarla dava la possibilità di… vincere un Mega Drive o, al limite, lo splendido stereo karaoke Canta Tu. Quindi, l’idea era di comprare un Mega Drive per tentare di vincerne un altro?
In teoria, la spilletta veniva omaggiata anche a chi acquistasse tre “cassette” originali con bollino Sega (in acquisto unico, ovviamente) o in alternativa, proprio un Game Gear insieme a un TV Tuner. Forse poteva essere un concorso potenzialmente appetibile per quei bimbi che, già possessori di un Master System, volevano la possibilità di vincere una console 16-bit? C’è da dire che il prezzo medio di tre cartucce Master System non fosse poi così distante da quello di un Mega Drive. Come lo spot tiene a sottolineare, tutti i tipi di “cassette” potevano essere vinte partecipando con Sonic “Bayge”. Non è mai stato ben chiaro quali fossero in palio, però. Veniva data la possibilità di scegliere o venivano selezionate da Giochi Preziosi?
Negli spot ci viene mostrato il funzionamento della promozione: con la spilla inserita in “TV Mode”, usando l’apposita levetta sul retro, era sufficiente indossarla durante la messa in onda di programmi sponsorizzati e spot legati a Sega. Se sentivate un terrificante motivetto a brutta copia del “Sonic Theme”, avevate vinto! Potevate così chiamare per scoprire quali fossero i vostri premi. Dopo anni di ricerche, non mi è mai riuscito di trovare qualcuno che avesse vinto qualcosa grazie alla spilletta.
Di certo, il concorso non solo era tremendamente complesso, anche per gli standard Giochi Preziosi, ma anche oltremodo costoso. Riflettendoci, però, è facile capirne il geniale meccanismo: era un modo piuttosto originale per far rimanere i bambini incollati alla televisione durante i programmi per ragazzi sulle reti Mediaset (e non), nonché perfino durante le pubblicità! Nessuno avrebbe cambiato canale se avesse significato perdere la possibilità di vincere delle “cassette”. Preziosi avrebbe venduto console e giochi, anche prima di Natale, mentre Berlusconi avrebbe tenuto i bambini incollati allo schermo: due piccioni con una fava.
La promozione, però, non ebbe vita lunga: Berté racconta come Giochi Preziosi fu costretta a sospendere la campagna in seguito ad accuse di pubblicità ingannevole e concorrenza sleale. Accuse che, naturalmente, il direttore smentisce tutt’ora, affermando che si trattava di un concorso regolare e sospettando un coinvolgimento della concorrenza. GiG, dal lato suo, conferma di non aver mai fatto alcuna azione al riguardo. La spilletta Sonic Badge, oggi, rimane una curiosità per i collezionisti, facilmente reperibile su eBay considerando il gran numero che rimase fermo nei magazzini.
Jerry conclude il coinvolgimento con Sega e Giochi Preziosi a fine 1993, al riguardo Berté smentisce collegamenti con il grave incidente automobilistico in cui l’attore rimase coinvolto a febbraio 1994 e giustifica la chiusura con un normale avvicendamento dei testimonial. Anche se, come sappiamo, per Sega non furono più utilizzati testimonial famosi.
Viene quasi naturale pensare a cosa sarebbe successo se il suo successore e testimonial per il Canta Tu, fosse stato usato anche per Sega. Avremmo avuto una vera battaglia tra titani, del tipo Jovanotti con Nintendo versus Fiorello con Sega. A quanto pare Fiorello era legato solo al karaoke portatile, previo accordo col suo manager dell’epoca Claudio Cecchetto e non fu mai considerato per fare altro. Peccato, ma forse il nostro paese non era ancora pronto per uno scontro di così epiche proporzioni.
32x, Mega CD e Saturn: Sega inizia a declinare
Il 1994 non porta affatto buone notizie per l’azienda giapponese.
Dopo i non esaltanti risultati in America, le nuove console (o meglio, add-on) Mega CD e 32X (pronunciato rigorosamente 32 PER) in Italia vennero sostanzialmente ignorati. Personalmente non ne ho mai visto uno nei negozi o supermercati né conosciuto qualcuno che li avesse. Ricordo, come fosse ieri, gli spot Mega Drive con Calà e Zenga, ma non ho nessun ricordo particolare di pubblicità legate a Mega CD o 32X. Forse non è un caso, quindi, che lo spot reperibile in rete sembra aver fatto un passo indietro al periodo 1990, tra il montaggio frenetico e la massima concentrazione sul prodotto.
Mentre il famigerato add-on con lettore CD uscì nel nostro paese nell’estate del 93, proposto al pubblico con un prezzo inavvicinabile, più o meno l’equivalente odierno di 600 euro, il 32X – uscito a metà 1994 – vantava un prezzo intorno alle 380mila lire (circa 300 euro). Insomma, un set completo Megadrive più 32X più MCD sarebbe costato vicino al milione di lire, una somma che era riservata solo per l’ultrapompato (e, di nuovo, ignorato) 3DO della Panasonic.
Nello stesso anno, Shigeru Hayashi lascia Sega of Europe e i rapporti con Giochi Preziosi cominciano a essere meno solidi. Berté non sembra volersi soffermare molto sul periodo meno fortunato legato alle console, ma ricorda una drastica riduzione del budget marketing dedicato a Sega a partire dal 1995.
Con l’arrivo di PlayStation, le dinamiche di mercato cambiarono radicalmente e in pochissimo tempo. A differenza dei minimi tentativi di GiG di difendersi dallo strapotere della debuttante Sony, Giochi Preziosi sembrava non aver nemmeno intenzione di provarci, preferendo accontentarsi di un marketing all’acqua di rose, lontano da quell’aggressività e onnipresenza dei testimonial dei primi anni novanta.
Finalmente, nell’estate del 1995, la console 32 bit Sega Saturn debutta in Italia, con un supporto marketing di Giochi Preziosi meno entusiasta e onnipresente di prima. Non disponendo, comunque, di dati di vendita è difficile affermarlo con estrema certezza, ma penso sia ragionevole affermare che Saturn non arrivò mai a conquistare un’importante fetta di mercato in Italia. Dario Berté la ricorda come una stagione poco esaltante, lontana dai successi del 1992 e menziona come il limitato parco titoli non riuscisse ad attraere il giovane pubblico.
Gli spot sembrano riflettere il passaggio del tempo, con meno attenzione al marchio Giochi Preziosi e un focus completo sui videogiochi disponibili per la console stessa. Saturn al lancio, poi, veniva offerto allo stesso prezzo del Mega CD, di nuovo 600 euro odierni. Ci sarebbero voluti parecchi mesi di risparmio sulla paghetta, per chi l’aveva, per arrivare a quella cifra nel 1995!
Fino ai tardi anni novanta, Giochi Preziosi continuò a distribuire e vendere Mega Drive (spesso nella versione Mega Drive 2, un redesign solo estetico con un pad incluso a 6 bottoni) con un prezzo adeguato, anche se non così ribassato come si potrebbe pensare. Con Gear uscito di scena ormai da diversi anni, Mega Drive e Saturn (nel 1997 ancora venduto a un prezzo intorno alle 450mila lire) continuano a essere presenti sul mercato; evidentemente il mercato ancora non era pronto a lasciare definitivamente le console 16bit.
Non a caso, in occasione degli Europei del 1996 Giochi Preziosi lancia una promozione finale: regalando a tutti i ragazzi che acquistavano Mega Drive… un pallone.
Di nuovo.
Dreamcast e i sogni che si spezzano
La potente console a 128 bit di Sega, Dreamcast, ebbe – purtroppo – destino ancora più crudele rispetto alla controparte a 32-bit. Fato volle che l’uscita sul mercato Italiano andò a coincidere con la chiusura del rapporto tra Sega e Giochi Preziosi, avvenuta – presumibilmente – nel 1998. La console esce, solo, a 1999 inoltrato, offerta al pubblico a un prezzo intorno alle 500mila lire (circa 347 euro odierni).
Nonostante si tratti di un periodo relativamente più recente, trovare notizie certe su quel buio periodo per Sega non è cosa agevole. Di certo, è ragionevole affermare che la distribuzione della nuova console fu direttamente impattata da questo periodo di transizione. Le pubblicità Dreamcast destinate al mercato europeo furono importate e tradotte ma, a quanto pare, non andarono mai in onda in Italia, perlomeno non attraverso l’azienda milanese.
Bigben Interactive, già distributore ufficiale Dreamcast per Francia, Germania e Regno Unito, arrivò per sostituirsi all’azienda di Preziosi come distributore e marketing per il territorio italiano, ma a inizio 2000 era già troppo tardi per recuperare il tempo perduto. In ogni caso, Dreamcast riuscì a godere di un breve periodo di successo in Italia, grazie a una fanbase Sega ancora piuttosto forte e ad alcuni problemi distributivi nei primi mesi di vita della PlayStation 2.
E a proposito di marketing, a quanto pare all’epoca – dopo i comici italiani – il marketing delle console doveva passare obbligatoriamente attraverso il calcio. Ebbene sì, così come Nintendo, anche Dreamcast fece una breve apparizione sulle maglie di una squadra di calcio italiana. L’accordo tra la Sampdoria e Sega, stavolta, però, non fu farina del sacco di un’azienda di giocattoli italiana, bensì fu stipulato direttamente tra Sega of Europe e il team genovese. La stessa tipologia di accordo di marketing coinvolse altre squadre europee come Arsenal, Deportivo La Coruña e Saint Etienne.
È interessante notare come, rispetto all’altisonante “GiG Nintendo” sulla maglia della Fiorentina, quella della squadra dei blucerchiati, all’epoca oltretutto militante in Serie B, citi solo il nome Dreamcast (o addirittura Dreamarena, riferimento ancora meno noto), come se questo potesse essere – in Italia poi – marchio di maggior richiamo rispetto al nome di Sega.
Com’è noto, lo sponsor calcistico e gli sporadici tentativi di marketing da parte della stessa Big Ben Interactive fecero poca differenza. Nel 2001, Dreamcast fu ritirato dal mercato e Sega lasciò definitivamente il mercato dell’hardware.
"Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione"
A differenza del finale positivo della storia di Pinocchio, Sega in Italia non riuscirà a scappare dallo stomaco del pesce-cane per diventare “un’azienda vera”. Personalmente, sono fan Sega convinto (il nome di questo blog sarà anche autocelebrativo, ma l’origine era legata alla console) da quando il Master System entrò nella mia cameretta nella sua opulenta versione “Master System 2 Plus”, contenente la pistola Light Phaser e Alex Kidd in Miracle World incluso in memoria. La Standa, per quel Natale – credo fosse proprio il ’92 o ’93 – dava anche in “omaggio” tre titoli a scelta: praticamente a caso scelsi The Lucky Dime Caper, Dick Tracy (era uscito da poco il film) e Moonwalker. Poteva sicuramente andarmi peggio.
La ricerca delle fonti e le interviste svolte per questo articolo hanno rappresentato, per certi versi, un bagno in una piscina di freddi ricordi repressi. Infatti, è curioso notare come la fortuna dell’azienda giapponese in Italia sia legata in maniera significativa al successo delle reti di Silvio Berlusconi. Parlandone con gli esperti del settore, tutti concordano che il potere di marketing di Giochi Preziosi e la vicinanza a Mediaset ha permesso alle console Sega di ritagliarsi uno spazio televisivo importante, non solo sulle reti del Biscione poi. La capillare distribuzione Standa, oltre ovviamente a quella dei negozi Giocheria, contribuì. Ancora più curioso, però, è legare le espressioni e gli slogan a doppio senso di Jerry Calà a Sonic the Hedgehog
Sega, dopo un iniziale periodo in cui riuscì a rubare mercato a Nintendo, finì vittima della stessa esposizione e del marketing aggressivo da parte dell’azienda di Preziosi. Di fronte ai primi risultati di vendita poco soddisfacenti, poi, l’azienda milanese non sembrò opporre particolare resistenza all’arrivo di Super Nintendo prima e Sony poi, lasciando la nave a imbarcare acqua. Questo, ovviamente, fece gioco a GiG che, con un prepotente ritorno e grazie a un marketing sapiente, dal 1993 fece trionfare il Super Nintendo, ma anche a far tornare il Game Boy, che nel lungo periodo riuscì a sopravvivere, chiramente, anche grazie alle sue riedizioni Pocket e Color.
Nonostante siano passati decenni dall’ultimo lancio favorevole di una console Sega, la fanbase italiana non si è mai davvero arresa. Mi sembra di poter affermare pacificamente che molti di questi fan rimangano ancora in speranzosa attesa che l’azienda giapponese riesca, con un colpo di coda, a tornare sul mercato con qualche rivoluzionaria console. Non ci rimane, dunque, che sperare che Sega porterà, di nuovo, a tutti noi una bella doppia libidine.
Coi fiocchi.
Fonti e Riferimenti
Interviste svolte, telefonicamente e via e-mail, da me con Francesco Malaspina, Dario Bertè, Giuliano Doccioli e l’ex responsabile marketing Nintendo per GiG in alcuni mesi del 2020 e 2021.
K, Consolemania, Zzap!, The Games Machine, dal 1989 fino al 1998, editori vari.
“L’Atari e la Melchioni, Intervista a Giovanni Capparella”, di Andrea Pachetti, pubblicata su Quattrobit.
Service Games: The Rise and Fall of SEGA: Enhanced Edition, Sam Pettus, 2013
Complimenti per la ricerca e lo stile divulgativo. La storia dei “media mix” sperimentati nel nostro paese è ancora poco esplorata e scarsamente tenuta in considerazione dalle università. Come artista-ricercatore ci sto provando (purtroppo ancora da indipendente) ricostruendo gli scambi Italia-America-Giappone e farò certamente tesoro di questo tuo articolo (citandolo, of course). Se ti va di tenerci in contatto aggiungimi su Fb o scrivimi a giuseppe.gatti@uniroma3.it. Un saluto, G.
Uao!!! Una lettura interessante, molto…
Nella quale mi sono immerso senza nemmeno accorgermene, in maniera naturale, pure con la testa, trattenendo il fiato, e poi ne sono riemerso come avessi assistito ad una proiezione in una sala cinematografica…
Io che conosco molto bene SEGA, che sono uno dei suoi più strenui sostenitori, e per di più sono un’Italiano nato nel 1980, devo dire che molte di queste nozioni erano a me sconosciute.
Certo le pubblicità in TV le avevo viste, almeno una buona parte, ed anche le sponsorizzazioni calcistiche le avevo notate, ma la serie di aneddoti, la ricerca tramite le fonti primarie, il lavoro profuso, che sa di una passione almeno equiparabile alla mia 🙂 , sono davvero da lodare.
Allora, grazie, complimenti e… SEGA!
Grazie, sarebbe molto apprezzato anche un supporto su Patreon se ti è piaciuto così tanto l’articolo https://www.patreon.com/thegenesistemple. 🙂
posso testimoniare io stesso di averla vista la serie di Sonic SatAM. Da che ricordo veniva trasmessa al mattino prestissimo, tipo nello slot tra le 6 e le 7 del mattino, perché dato l’orario incompatibile con le mie abitudini la registravo. Non era nemmeno male, ne conservo un buon ricordo. Credo anch’io sia stata trasmessa solo una volta, perché poi sparì e comparì più avanti un’adattamento più brutto, con una struttura più simile ai Looney tunes.