L’interesse del grande pubblico nei confronti della storia dei videogiochi è un’evoluzione sicuramente recente, d’altronde bisogna tenere in considerazione la relativa giovine età del mezzo videoludico, arrivato a imporsi all’attenzione dei media e del gradimento popolare, ufficialmente, solo negli anni ’80. Oggi l’interesse verso la storia dei videogiochi e, conseguentemente, verso i delicati temi della preservazione e ricostruzione della stessa, è una corrente forte, anche se molti argomenti vengono dimenticati, come Nintendo in Italia.
Il medium videoludico si sta approcciando alla “mezza età”, con un costante aumento di libri e documentari dedicati. Dunque il “retrogaming” non è più considerabile come mero “giocare ai vecchi titoli” o un accatastamento di scatole e manuali, bensì diventa utile (nonché necessario) studiare e ricostruirne la storia e lo sviluppo, prima che molte delle informazioni e dei ricordi vengano perduti per sempre. Non è un caso che un libro come Masters of Doom, la storia della ID Software, abbia venduto ben oltre il suo pubblico di riferimento o come anche Netflix abbia finito col prestare attenzione all’argomento, realizzando il documentario High Score.
Altro fattore, forse meno considerato ma storicamente non meno rilevante, è quello del marketing: come i suddetti titoli siano stati proposti e venduti al grande pubblico. E proprio su quel fronte emergono racconti diametralmente diversi tra i mercati di riferimento, così che la visione di High Score finisce con non aggiungere niente alla ricostruzione della storia dei videogiochi in Europa, o peggio ancora, in Italia. Concentrarsi sugli Stati Uniti sarebbe un approccio maggiormente valido per una ricostruzione della situazione odierna, sostanzialmente globalizzata, ma negli anni ’80 e ’90 il mercato americano ed europeo funzionavano secondo meccanismi e tempistiche antitetiche.
Il mercato delle console in EU
Per quanto sia notoriamente complesso effettuare riflessioni generalmente valide sul mercato dei videogiochi negli anni 80, per la nota assenza di fonti ufficiali e la difficoltà nel ricostruire situazioni diverse tra loro, proviamo a tracciare alcuni riferimenti utili.
Nei primi anni 80, lo strapotere degli homecomputer sul mercato europeo era innegabile, con le poche console a rappresentare un settore dedicato a un target d’età generalmente inferiore. Sega fu tra le prime aziende giapponesi a interessarsi alla conquista del mercato Europeo, perseguendo l’obiettivo con una conoscenza specifica dei gusti del pubblico e adattando, di conseguenza, il proprio marketing e i prodotti. Fu un approccio che, per quanto vincente da noi, in America stentò a decollare: il pubblico, scottato dalle fallacie di mercato provocate da Atari e i suoi concorrenti, necessitava di un radicale ripensamento dell’approccio al “videogioco”. Fu infatti Nintendo la prima a carpire al meglio l’opportunità, non a caso l’originale Famicom fu ridisegnato per somigliare a un oggetto da casa, un “entertainment system”, appunto.
In Europa, le conseguenze del “grande crash del mercato videoludico” furono – in generale – avvertite in maniera minore. Sul mercato continentale, Nintendo era stata distribuita nel 1986 da aziende legate al giocattolo come Mattel e Bandai; accordi commerciali che non sembravano portare grandi soddisfazioni alla casa madre. Mentre Sega Master System sembrava godere di un certo vantaggio, grazie anche ad accordi specifici con distributori tedeschi e spagnoli, NES impiegò diversi anni a guadagnare un certo favore di pubblico. Solo dal 1990 in poi, le due aziende riscontravano settori di mercato simili; il 1993, poi, sancirà definitivamente la vittoria di Nintendo su Sega, a causa dei problemi di saturazione legati alle espansioni del Mega Drive, tra Mega CD e 32X, usciti proprio in quell’anno.
Dopo essere arrivata in Europa ufficialmente solo nel 1990 (cfr. infra), nei tre anni successivi Nintendo modificò la propria presenza sul continente creando proprie succursali in paesi come Olanda, Spagna, Francia e Regno Unito. L’azienda di Kyoto sembrava, quindi, presentarsi secondo un approccio regionale, piuttosto che con il modello centralizzato utilizzato da Sega nello stesso periodo.
Sul territorio italiano, Nintendo verrà distribuita da diversi partner, alla ricerca di una combinazione di marketing e accordi commerciali che potessero soddisfare entrambe le parti. In generale, possiamo affermare che la presenza di Nintendo e Sega in Italia fu fortemente legata a due compagnie di distribuzione di giocattoli: Nintendo con GiG e Sega con Giochi Preziosi.
Nintendo in Italia: Wonderland e Mattel
Wonderland – azienda controllata in America da Worlds of Wonder e legata in Italia a Mattel – fu la prima a occuparsi della distribuzione del NES in Italia. Non si trattò certamente di una relazione duratura, data la generale insoddisfazione dell’azienda giapponese nei confronti del distributore americano. Tra prezzi elevati e limitate proposte televisive, Wonderland non sembrava aver ben compreso il modo più efficace per proporre la nuova idea NES al grande pubblico.
L’accordo commerciale non fu modificato poiché, nel 1987, World of Wonders viene assorbita dalla stessa Mattel.
Il periodo tra 1987 e 1988 non sembra, infatti, portatore di un “passaggio di consegne”, bensì fu contrassegnato da una sostanziale continuità, sia nel linguaggio che nel modo di approcciare il marketing. La terminologia stessa era intatta: il NES veniva ancora presentato al pubblico come un “video sistema” e la Zapper una “video pistola”. Scelte che sembrano più in linea con il marketing tipicamente “ottanta” di Atari e Intellivision in quegli anni, piuttosto che all’approccio più radicale e adolescenziale utilizzato da Nintendo in USA per conquistare schiere di giovani appassionati.
Nel 1988, oltre a far apparire il proprio marchio sui prodotti NES, Mattel arriva sul territorio nazionale con i “centri Nintendo”: dei piccoli chioschi, presenti in alcuni negozi di giocattoli, dove provare alcuni titoli come Duck Hunt o Super Mario Bros. Grazie alle pubblicità dell’epoca è agevole rintracciare come il prezzo del NES a fine anni 80 si aggirasse sulle duecentomila lire per la versione solo console (circa attuali 200€) e quasi il triplo, 590mila, per quella deluxe. Quest’ultima è quella che includeva, oltre alla classica pistola Zapper (o videopistola), anche il famigerato ROB che in Italia fu supportato molto limitatamente: il secondo gioco compatibile con il robottino, Stack-Up, non fu mai ufficialmente importato, a quanto pare.
Il nuovo marketing Nintendo e i testimonial
Con l’arrivo della nuova decade, forse complice anche la veloce rimonta del concorrente Sega supportato in maniera oltremodo opulenta da Giochi Preziosi, l’approccio di Mattel inizia a mutare verso ben altra idea di marketing: i testimonial. Per quanto, da un punto di vista storiografico, inutile stabilire chi detenga il primato del marketing console con il rispettivo “vip” in televisione e sulle riviste, emerge abbastanza chiaramente come questa nuova idea pubblicitaria avesse iniziato a marcare nettamente il confine tra il marketing dei videogiochi, evidentemente considerato più importante, da quello dei comuni giocattoli. Negli anni precedenti una delle pochissime esperienze di giocattoli accompagnate da un testimonial fu Fabrizio Bracconeri che pubblicizzava, per GiG, la macchina del gelato.
Parlando con alcuni pubblicitari dell’epoca, tra cui l’ex di agenzie fiorentine come Leader e Diaframma Giuliano Doccioli, le “reclame di giocattoli” negli anni 80 e 90 erano considerate con molta diffidenza, nessuno seriamente intenzionato a far carriera nel settore ci si sarebbe avvicinato. Tra i tanti motivi, uno avvertito con maggior forza era il fatto che le pubblicità di giocattoli non fossero legate al palinsesto di prima serata, il posizionamento più ambito perché poteva garantire la miglior visibilità. Le pubblicità dei prodotti per bambini erano – naturalmente – destinate agli slot televisivi pomeridiani, dove la “Tv per ragazzi”, prima sui canali della Tv di Stato e poi di Berlusconi, trovava suo naturale posto.
La celebrità scelta da Mattel, come ricorderanno agevolmente coloro che sono cresciuti negli anni ’90, fu il cantante (o meglio, all’epoca “rapper”) Jovanotti. Per quanto, oggi, la scelta possa suscitare sentimenti contrastanti, da parte del marketing si trattava di un’idea oltremodo sensata: il rapper romano, famoso per pezzi immediati come “Vasco” e “La mia moto”, era personaggio gradito al target di pubblico tra i 10 e i 12 anni. Il suo look, studiato a tavolino da Claudio Cecchetto, era proprio pensato per strizzare l’occhio alla generazione dei “paninari”: quelle schiere di giovani milanesi che seguivano disperatamente qualsiasi moda americana.
Ironicamente la definizione di “tipicamente americana” poteva – al limite – prestarsi per descrivere Sega, ma si sarebbe mal accordata con la descrizione di un’azienda orgogliosamente giapponese come Nintendo. L’idea di marketing – probabilmente portata avanti da persone ben oltre l’adolescenza – era invece proprio quella. Per quanto possa risultare anacronistico, all’inizio degli anni ’90 il Giappone ancora non era ritenuto avere gran presa sui giovani (come è agevole intuire, sarebbero cambiate presto le cose), mentre l’America rappresentava, da sempre, quell’immagine lontana e romantica che faceva sognare a occhi aperti.
Ancora più curiosamente, Mattel sembrava voler scrollarsi di quell’aria tipicamente rassicurante e “per famiglie” che aveva caratterizzato (e che continuerà per molti anni) i prodotti Nintendo in Italia. Viene sancito anche l’abbandono definitivo di quel vocabolario vetusto usato in precedenza, in favore di uno più vicino al target di pubblico. Non è un caso che lo spot entrato con più forza nell’immaginario collettivo sia quello dove Jovanotti prova a impressionare una ragazza insegnandole a giocare a Super Mario Bros, con tanto di vaghi doppi sensi e riferimenti romantici. Riguardandolo oggi, oltre al difficilmente ignorabile “mansplaining” che ne caratterizza la narrativa, tenendo presente che il target fosse quello di bambini dagli 8 ai 12 anni, viene naturale esprimere qualche perplessità.
L’unico altro spot reperibile (suppongo non ve ne siano altri) del periodo Nintendo con Jovanotti sembrerebbe realizzato in occasione dell’uscita natalizia del platform, realizzato da Konami, avente come protagonista le Tartarughe Ninja. Notevole l’assenza di riferimenti al film uscito nello stesso anno: il tono dello spot e la narrativa fanno sembrare la coincidenza tra l’uscita natalizia del film e il videogioco praticamente una casualità. D’altronde, i giocattoli delle Tartarughe Ninja erano distribuiti da Giochi Preziosi, quindi è evidente che a Mattel non venisse niente in tasca, direttamente, dall’uscita del film.
Tornando allo spot: Jovanotti sta festeggiando con diversi invitati mentre è impegnato a giocare distrattamente a Top Gun, quando suonano alla porta. Entra il vicino di casa, conciato come clone di Einstein, arrivato a lamentarsi del rumore. Com’è noto, nel nostro immaginario collettivo – e ancora di più a livello marketing – il povero scienziato viene considerato, tuttora, come sinonimo di “grande intelligenza”. Se lo fa Einstein, il consumatore intelligente per eccellenza, allora è un comportamento da persona furba.
Mentre Einstein viene subito convinto a giocare, Jovanotti riceve una telefonata importante da “il signor Nintendo” e si rifugia in un’altra stanza dove, ovviamente, c’è un altro NES con il platform della Konami. Jovanotti definisce il gioco come “Ninja Turtles”, invece che con il più noto “Tartarughe Ninja”: di nuovo, un chiaro indizio di come mancasse del tutto il collegamento con la distribuzione del film.
Il nostro continua parlando del mercato d’oltreoceano, d’altronde se qualcosa è popolare in USA dev’essere per forza “avanti”. Ritornando all’idea di marketing di cui sopra, probabilmente “il più venduto in Giappone” non avrebbe avuto lo stesso richiamo, nonostante si stesse anche parlando di un videogioco proprio sviluppato lì. Il riferimento funzionava anche come narrativa propria dell’artista, in quest’occasione vestito con maglietta e jeans in stile vagamente grunge; all’epoca lo si vedeva spesso anche con vari outfit da rapper in stile Vanilla Ice o, in alternativa, da cowboy con foulard e stivaloni.
Nonostante non mi sia stato possibile avere una conferma da un direttore marketing di Mattel, dalle conversazioni con diversi esperti del settore penso sia ragionevole affermare che la campagna “Jovanotti”, oltre ad aver riscosso relativamente poco successo, non ebbe lunga vita. Un paio di spot televisivi e una serie di fotografie per le pubblicità nelle riviste, con il cantante su una Harley Davidson, di nuovo sulla falsariga narrativa del “figlio d’America”. L’anno seguente Jovanotti sembrava già sparito dalle pubblicità Nintendo: un’esperienza che Mattel non ebbe sicuramente tempo né occasione per ripetere in futuro.
Come anticipato, nel giugno del 1990, Nintendo fonda un proprio quartier generale in Europa (a Großostheim, in Germania); potremmo, dunque, ipotizzare come quest’evento abbia contribuito a modificare i rapporti tra Mattel e Nintendo, fino ad allora probabilmente tenuti con Nintendo of America o, addirittura, la casa madre in Giappone. Nonostante anche la stampa non specializzata iniziasse ad accorgersi di Nintendo (“Super Mario: l’idraulico che ha scalzato Topolino” Miriam Verrini sul Corriere della Sera del gennaio 1991), l’impressione è che Mattel avesse smesso di considerare prioritario il marketing delle console Nintendo poco dopo il 1990.
Di certo, Mattel selezionava titoli seguendo le indicazioni della casa madre senza ulteriore selezione. A fare le spese di questa selezione a monte – come vedremo – sarà non solo il Game Boy (arrivato in Italia a metà Novembre al prezzo di 149.000 lire), ma anche alcune software house. Al riguardo John Holder – all’epoca presidente della Leader, il maggior distributore di videogiochi sul territorio – ricorda di aver stretto un accordo per distribuire alcuni dei titoli della software house inglese Mindscape, poiché questa non riusciva a trovare altro modo di pubblicarli, dato l’ostracismo di Mattel e Nintendo. Una situazione inedita che non si ripeterà più in futuro poiché Leader deciderà di non entrare più nella distribuzione di titoli legati ad alcuna console dell’azienda di Kyoto. Nintendo scioglie il contratto con Mattel nel 1991 e, per l’iter logico, decide di rivolgersi al più grande distributore nel mercato dei giocattoli.
Quel player era GiG.
Da Kyoto a Firenze: l'inizio dell'era GiG
L’azienda GiG (Grossisti Italiani Giocattoli) fu fondata a Osmannoro (Sesto Fiorentino) nel 1968 dall’imprenditore padovano Gianfranco Aldo Horvat, classe 1942, figlio del fondatore della Horvat Giocattoli. Nasce come consorzio di acquisto dei sette più importanti grossisti italiani di quegli anni: Godino (Torino), De Franchis (Milano), Testi (Padova), Splendor (Bologna), Horvat (Firenze), Fulli (Roma) e Minale (Napoli). Ogni socio possedeva quote diverse e agiva in autonomia nella propria area territoriale di competenza.
Negli anni ’80, grazie anche al forte sodalizio con l’agenzia pubblicitaria Phasar, il consorzio fiorentino era diventato il più grande importatore e distributore di giocattoli sul territorio italiano. Tanta era la facilità con cui GiG riusciva a raggiungere anche territori difficili che Mattel era stata costretta, più di una volta, ad avvalersi proprio della distribuzione dell’azienda fiorentina.
Parlando con uno degli ex direttori marketing di GiG in Italia, occupatosi personalmente di Nintendo dal 1992 in poi, l’azienda fiorentina, tra i vari obblighi contrattuali, s’impegnò ad acquistare l’invenduto del periodo Mattel. A quanto pare – ricorda – c’era uno stock molto consistente di Gameboy nonché di cartucce NES. La sensazione del poco interesse da parte dell’azienda americana nei confronti della portatile verrebbe quindi confermata: come se Mattel non fosse sicura su come piazzare Game Boy sul mercato
Nelle priorità per l’azienda fiorentina, oltre alla necessità di chiudere in poco tempo il capitolo dell’invenduto relativo al NES, c’era la volontà di trovare una maniera creativa per far ripartire le vendite di Game Boy e, soprattutto, prepararsi per l’arrivo della nuova console 16 bit. Super Nintendo sarebbe – infatti – arrivato in Italia di lì a pochi mesi, nel 1993.
Il distributore fiorentino decide di affidare Nintendo a una delle principali agenzie pubblicitarie Italiane dell’epoca, l’Armando Testa. In questa scelta possiamo vedere continuità, confermata dallo stesso ex-direttore, nella consapevolezza della preminenza del marchio e dei prodotti Nintendo rispetto al più ampio mondo del giocattolo. A tal proposito, alcuni ex collaboratori dell’agenzia pubblicitaria ricordano come fu l’azienda fiorentina a imporre modi e tempi della pubblicità videoludica, non intendendo abbandonare la comfort zone del “balocco”, in favore di una comunicazione più matura come, invece, suggerito dalla stessa Armando Testa.
La casa madre, per tutto il periodo GiG, fu rappresentata dalla citata Nintendo Germania che imponeva quantità, prezzi e, in generale, dettava la filosofia di marketing. Ciò nonostante, GiG aveva lunga e solida esperienza del mercato italiano su cui, comunque, anche l’azienda giapponese era costretta a dover fare affidamento. Il presidente Horvat, in ogni caso, era colui che aveva l’ultima parola e controllo su ogni mossa sul mercato pubblicitario.
Fu presto lanciata una campagna per NES, con un focus sui titoli più recenti e appetibili (su tutti l’ultimo uscito Super Mario Bros 3), con un prezzo aggressivo per cartucce e accessori. Successivamente, per alleggerire il consistente stock ereditato da Mattel, l’azienda fiorentina procede a un aggressivo taglio di prezzo del 30%, il Game Boy veniva ora proposto sul mercato a 99.000 lire. GiG decide di puntare il tutto per tutto per cercare di contrastare la fetta di mercato conquistata dal concorrente Sega con Game Gear.
Come ricordato in altri articoli, in Italia la pubblicità “comparativa” era vietata in quegli anni, dunque l’azienda fiorentina poteva combattere solo in maniera creativa: si decise di produrre uno spot dedicato al mercato Italiano, diretto dall’allora celebre attore e regista Maurizio Nichetti.
Sfortunatamente – ricorda l’ex-direttore GiG a cui fanno eco alcuni ex-Armando Testa – il risultato finale fu ben lungi dall’esser valso la fatica e le discussioni che accompagnarono i lavori, per tacere del budget generoso messo a disposizione. Nichetti stesso, alla fine, sembrò stanco di lavorare sul prodotto e se ne allontanò. Onestamente, lo spot si conferma guardabile e piuttosto in linea con l’epoca, agevole notare come sia frutto anche di un investimento economico maggiore rispetto ad altre produzioni simili. Ciò nonostante la narrativa non è così particolare o memorabile da poter convincere eventuali indecisi tra un Game Boy e un Game Gear.
Risulta curiosa la scelta di coinvolgere un regista famoso per realizzare la pubblicità di una console portatile, comunque, già presente sul mercato da quattro anni. Sarebbe stato facile pensare che l’attenzione dell’azienda fiorentina dovesse concentrarsi sul futuro, con l’intenzione di utilizzare il richiamo della presenza di Nichetti per introdurre sul mercato Super Nintendo. Il direttore ricorda come l’idea di GiG fosse proprio di realizzare qualcosa di speciale, con l’Armando Testa, per la nuova console a 16 bit: fu in quell’occasione che si consumarono i primi scontri sul “target” di pubblico.
L’Armando Testa e GiG discussero per mesi su varie idee e progetti: l’agenzia pensava che fosse giunto il momento di cambiare approccio, verso qualcosa di maturo e staccato dal “giocattolo”, mentre l’azienda fiorentina, a quanto pare, non era ancora pronta a fare il passo. Dopo mesi di discussioni e con poco tempo rimasto a disposizione, si ritenne di fare la scelta più economica e razionale: una semplice versione tradotta della pubblicità europea del Super Nintendo. La scelta scontentava sicuramente l’Armando Testa, ma almeno accontentava Nintendo Germania che non avrebbe di certo obiettato.
La versione italiana differisce da quella internazionale per alcune precise scelte. L’ex direttore menziona come fu adattata alla nostra sensibilità: certe immagini furono tagliate poiché ritenute troppo forti per il pubblico dei bambini italiani, pur mantenendo il tema centrale del “robot”.
Approccio marketing e solidità del rapporto con Nintendo
GiG, avendo colto fin da subito la portata innovativa del videogioco, era seriamente intenzionata a rendere proficuo il rapporto con Nintendo. Il 90% del budget pubblicitario fu immediatamente spostato sulla televisione, lasciando un minimo per le riviste e i quotidiani. Il distributore italiano impiegava anche apposito personale per testare i giochi allo scopo di valutare se fossero appetibili per il mercato nazionale, così risolvendo – in parte – quei problemi d’importazione che avevano menomato il parco titoli NES durante la gestione Mattel. Nintendo, comunque, spingeva affinché GiG pubblicizzasse in particolare i titoli sviluppati dalla casa madre, rispetto a quelli dei vari licenziatari.
Anni prima di distribuire le console Nintendo, GiG vendeva sul territorio i portatili Tiger, non a caso noti generalmente in Italia come “GiG Tiger”. Questa combinazione, non veniva affatto vista di buon occhio da Nintendo che vedeva – per quanto possa suonare strano – nei Tiger una chiara interferenza col proprio settore di mercato del Game Boy. Il direttore menziona l’aver rassicurato l’azienda giapponese affermando che i Tiger potevano fungere da un primo approccio verso il mondo del videogioco più serio, affinché i bambini potessero, successivamente, decidere di comprare proprio la portatile Nintendo. L’azienda giapponese, d’altronde, è nota per aver sempre sofferto di “gelosie” e aver avanzato pretese alquanto peculiari.
Un altro strumento di marketing che Nintendo aveva, fin da subito, richiesto ai propri distributori è la versione Italiana del Club Nintendo inizialmente gestita da Mattel, poi ereditata da GiG. Si trattava di una rivista dai contenuti snelli, non più di una trentina di pagine, destinata principalmente agli “appassionati”, con brevi recensioni e sezioni destinate a “tips & tricks”, password e trucchi per i vari giochi della casa giapponese.
A proposito, il mio intervistato ricorda che fu fortemente voluto dalla casa madre come essenziale strumento di marketing, nonostante le diverse perplessità espresse dell’azienda fiorentina. “In tempi relativamente brevi vennero fuori differenze, idee ed approcci diversi tra le parti e rapporti di reciproca insoddisfazione.“. L’utenza ricambiava la poca soddisfazione: è facile trovare ricordi come password dei giochi tradotte in Italiano – rese quindi inutilizzabili – nonché una curiosa tendenza a tradurre il personaggio di Toad come “Rospo”.
Con Nintendo che cresceva di popolarità, la stampa italiana – non specializzata – s’interfacciava in maniera decisamente peculiare. Curioso, infatti, rileggere un articolo apparso su La Repubblica a novembre 1993, a firma Bernardino Campello, dove si teorizza:
“Il Nes […] è una macchina che si applica al video e che ipnotizza i bambini (ma anche alcuni adulti non scherzano) per ore e ore dietro a videogiochi. […] Mario insegna ai bambini che devono uccidere per non essere uccisi. E che troveranno sempre qualcuno più grande e più potente di loro.”
Chiunque abbia letto il libro citato nell’articolo, Game Over di David Sheff, ricorderà come l’autore si ponga l’obiettivo di raccontare come Nintendo salvò il mercato videoludico americano e non avanzi certamente queste tesi catastrofiche. D’altronde, il richiamo alla spettacolarità gratuita risulta chiaro sin dal titolo dell’articolo stesso: “Super Mario uccide anche te”.
Tornando al marketing, Giochi Preziosi per Sega, tra il 1992 e 1993, era intenta a utilizzare attori e sportivi famosi, Nintendo non avrebbe potuto beneficiare (di nuovo) di una strategia simile? L’ex direttore ricorda come la filosofia dell’azienda fiorentina fosse sempre molto orientata al prodotto “giocattolo”, piuttosto che incentrata sulla figura di qualcuno che avrebbe dovuto venderlo. “Volevamo che l’attenzione del consumatore fosse incentrata proprio sul prodotto stesso, se è buono e interessante – e se lo distruibiamo pensiamo che lo sia – nulla cambierà alle vendite la presenza di un attore o un rapper nelle pubblicità.”
GiG offriva anche al cliente un servizio di assistenza su tutti i prodotti Nintendo.
GiG aveva probabilmente scelto la filosofia giusta, considerando che, nel breve corso di due anni, ’93-’94, il mercato in Italia visse alcuni cambiamenti importanti.
Da un lato, lo strapotere degli homecomputer iniziava a vacillare, complice anche la legge sulla pirateria che aveva reso più difficoltoso il commercio di giochi sul “mercato nero”. Nintendo sembrò recuperare la fetta di mercato che non era riuscita a catturare dopo un inizio poco convincente, aiutata anche dal limbo in cui si era chiusa Sega, in difficoltà nel piazzare sul mercato Italiano (nonché europeo) espansioni Mega Drive come il Mega CD o 32X. D’altronde, era anche difficile negare la realtà oggettiva che i giochi Super Nintendo fossero più impressionanti graficamente di quelli Megadrive del medesimo periodo. Con l’arrivo di titoli come Star Wing, tale divario divenne definitivamente incolmabile.
GiG iniziava anche ad alzare l’età media del target per i prodotti Nintendo, mostrando ora ragazzi adolescenti negli spot:
L’azienda fiorentina si concentrò sul mostrare al giovane pubblico le diverse console e giochi Nintendo in maniera capillare e pervasiva, oltre alla classica fascia pomeridiana, anche in programmi TV serali (La Corrida, Zecchino d’Oro, Striscia la Notizia), nonché programmi meno tradizionali come Mai Dire Gol – ai tempi della conduzione con Teo Teocoli e Gene Gnocchi – e trasmissioni sportive. GiG, spingendo a promuovere Nintendo era intenzionato ad accreditare il brand come “family” a tutti i livelli della programmazione televisiva.
Nonostante la situazione sembrasse sorridere a quest’importante sodalizio tra Kyoto e Firenze, nel 1995 le cose sarebbero cambiate in fretta, radicalmente.
PlayStation cambia le carte in tavola
PlayStation, arrivata in Italia nell’autunno del 1995, cambierà completamente il volto del mercato dei videogiochi, in pochissimo tempo. Con Sega Saturn supportato in maniera quasi evanescente da Giochi Preziosi e il PC che iniziava a recuperare percentuale di mercato (precedentemente di Amiga), Nintendo rappresentava davvero l’unico serio concorrente di Sony. Eppure, stando a quanto riportato da diversi quotidiani, PlayStation conquistò immediatamente il mercato italiano, accaparrandosi una posizione di leader che durerà per tutto il resto della decade.
Massimo Miccoli su la Repubblica si chiedeva, a fine 1996, se “Nintendo 64 potesse rappresentare un nuovo PC e rispondere al modo con cui Sony ha ridisegnato l’elettronica di consumo”.
Sempre sul medesimo articolo di Massimo Miccoli, il giornalista riportava alcune strabilianti caratteristiche – molte delle quali mai divenute realtà – dell’Ultra 64 (nome temporaneo della console), tra cui:
“Non è un semplice giocattolo, la Nintendo 64 […] potrebbe rappresentare il futuro degli stessi personal computer. Completamente espandibile, infatti, la Nintendo 64 può trasformarsi, con l’aggiunta di piccole schede, in Network computer Java-compatibile per la navigazione in Internet, lettore di film registrati su Cd, in un vero e proprio computer capace di eseguire qualsiasi tipo di programma ad altissima velocità”
Per comunicare al grande pubblico il cambiamento portato da questa strabiliante nuova tecnologia, l’azienda di giocattoli provò a impegnarsi in qualcosa di diverso: una pubblicità di lancio N64 dall’aspetto futuristico arricchita da un rendering in 3D della console, prodotto da uno studio esterno (sul rendering ha lavorato Marco Valleggi che, contattato, ha rifiutato di commentare sul suo rapporto con l’azienda fiorentina).
Facile notare come GiG stesse cercando di far leva sulle proprie forze di vecchio conoscitore del mercato, ricordando ai consumatori caratteristiche non intrinseche alla console, come i “due anni di garanzia”. A fronte di questo, la PlayStation rispondeva con un parco titoli dove il giocatore poteva trovare Resident Evil, Ridge Racer, Tekken, Tomb Raider; il N64 non aveva davvero modo di comptere, nonostante avesse l’hardware per mostrare giochi teoricamente più avanzati.
Infatti, è l‘ex direttore GiG il primo a ricordare il “lancio disastroso” per Nintendo 64, arrivato nei negozi Italiani solo nel mese di marzo 1997, con sei mesi di ritardo rispetto al mercato d’oltreoceano. Nei tardi anni 90, lo stile marketing dell’azienda Giapponese era completamente fuori moda rispetto allo stile “maturo” e “adulto” che Sony aveva portato in Europa, ma GiG, a quanto pare, non riuscì a far capire all’azienda giapponese la necessità di cambiare marcia.
I ricordi della stampa specializzata, infatti, menzionano come il marketing di GiG fosse sempre stato sì pervasivo, ma poco adatto al tipo di prodotto. In generale, c’era poca dimestichezza e un approccio non particolarmente maturo nei confronti dei videogiochi, per quanto ci si sforzasse di andare oltre la generale considerazione di equipararli ai giocattoli. “Al tempo era un atteggiamento più che comprensibile: quelli strani eravamo noi, quelli con la passione per i videogiochi!” ricorda Alex Rossetto.
Nel 1997, alcuni mesi dopo l’arrivo della nuova console Nintendo, l’Italia fu presa alla sprovvista da un evento che contribuì, tra le altre cose, a cambiare la percezione generale del marketing dei prodotti videoludici per il grande pubblico: la partenza di MTV Italia, avvenuta il primo settembre, all’epoca come ospite di Rete A. L’ex direttore ricorda come Nintendo trovasse relativamente poco spazio in questo nuovo canale televisivo riservato esclusivamente agli adolescenti, Sony era l’unica presenza importante.
Il mercato delle console in Italia finì per pagare un prezzo elevato per aver considerato le console come giocattoli, non a caso tutti i miei intervistati della stampa specializzata ricordano come fu l’arrivo di PlayStation a cambiare definitivamente la considerazione nel nostro paese verso i videogiochi, sancendo definitivamente il passaggio dei giochi per console da “giocattoli costosi” a “passatempi per adulti”.
Per lunghi anni, d’altronde, era stato difficile immaginare che un adulto potesse recarsi in un negozio di giocattoli a comprare “un Nintendo”. Sicuramente, anche un titolo d’impatto rivoluzionario come Super Mario 64 aiutava a sdoganare la generale percezione dei videogiochi per console come destinati al pubblico infantile, ma era comunque troppo tardi. Sony era riuscito nel medesimo obiettivo già da tempo, trasformando nel giro di un paio d’anni il mercato di riferimento.
La comunicazione PlayStation, poi, era pensata e standarizzata per l’intero mercato Europeo così da non necessitare di adattamenti o censure di alcun tipo: aggressiva, diretta e destinata a un pubblico di tutte le età. Anche la stampa Italiana non tardò ad accorgersene e, nel giro di pochi anni, avrebbe dichiarato la raggiunta maturità del prodotto videoludico (Luigi Ferro su Il Corriere della Sera del 21 ottobre 2000 “Videogiochi, i fans sono più maturi“).
Per Nintendo il 1997 si chiude con risultati di vendite deludenti, se non proprio disastrosi. L’ex-direttore ricorda, quindi, come fosse giunto il momento per Nintendo di convincersi a cambiare l’approccio al marketing per la nuova console a 64, onde non essere definitivamente travolta da PlayStation.
L’anno successivo l’azienda operò un cambio di direzione commerciale: è proprio a Novembre del 1998 che Xenia e GiG si unirono per la creazione di una pubblicazione ufficiale Nintendo (Official Nintendo Magazine), arrivata soprattutto con l’intento di sostituire l’ormai anacronistica idea del Nintendo Club. A tal proposito, alcuni ex-Xenia ricordano come i rapporti con GiG prima (e con Preziosi successivamente), furono sempre tranquilli: nessuna pretesa avanzata né pressione sul recensire alcuni giochi rispetto ad altri. La rivista durerà con quel nome fino al 2002, per poi essere sostituita – da maggio – con una pubblicazione successiva, “Nintendo la rivista ufficiale”. Raffaele “Raffo” Sogni, che dirigerà la rivista in seguito, menziona: “Lavorare su una rivista ufficiale senza avere il costante fiato sul collo della casa madre che ti indicava quali giochi recensire, quali copertine fare e soprattutto quale linea editoriale tenere, nel complesso era un vantaggio.“.
GiG, invece, prendendo chiara ispirazione dallo stile MTV dell’epoca, inizia a produrre quelli che saranno tra gli ultimi spot televisivi realizzati dall’azienda fiorentina, cercando di rispondere a Sony sullo stesso piano.
Questi tentativi scontavano il fatto che Nintendo e GiG si trovassero, improvvisamente, a dover rincorrere un concorrente che, spuntato fuori all’improvviso, aveva non solo un nuovo standard di comunicazione a cui l’azienda di Kyoto non sembrava comunque aver intenzione di approcciarsi, perlomeno in Europa, ma anche una piattaforma sostanzialmente “dedicata” come Mtv Italia. Conseguentemente, l‘idea di realizzare un rap legato al Nintendo 64 sembra quasi riportare all’epoca Mattel, anche se proprio l’intero approccio sembra abbastanza fuori bersaglio. Attraverso l’uso di slang vagamente giovanile come “la forza di Nintendo!”, il rimando al classico tentativo di un adulto di sembrare giovane parrebbe venire praticamente automatico.
I problemi dell’approccio dell’azienda di Kyoto, però, non erano solo a livello marketing.
Anche sul piano distributivo, Sony lavorava in maniera radicalmente diversa, stringendo accordi diretti con negozianti e distributori senza stabilire limiti o avanzando strane richieste. Oltre al marketing, Nintendo iniziava a scontare l’aver sempre mantenuto, con i vari importer a livello europeo, rapporti spesso caratterizzati da poca libertà e resistenze difficilmente superabili. Con l’azienda di Kyoto impegnata più che altro a tenere fermi i propri principi, sembrava che niente potesse fermare l’ascesa di Playstation (Giancarlo Radice su Il Corriere della Sera del 23 gennaio 1999 “Giocattoli, crisi da Playstation: l’industria italiana cerca il rilancio.“).
Un ultimo tentativo di marketing alternativo fu fatto dall’azienda di Sesto Fiorentino agli sgoccioli del loro accordo con Nintendo, qualcosa di completamente nuovo nel mondo dei videogiochi: Nintendo come sponsor di una squadra di calcio. Visto che il quartier generale di GiG, come citato, era nella provincia del capoluogo fiorentino, la scelta della squadra fu automatica, ricadendo proprio sulla Fiorentina.
Nintendo nel pallone: la Fiorentina e Super Mario
Nel primo anno, Super Mario fu un asset fondamentale della sponsorizzazione Nintendo-Fiorentina, accompagnata dallo slogan “È bello giocare insieme”. Il direttore continua: “Il giorno della prima presentazione della squadra, allo Stadio Franchi, un pupazzo di Mario fece il giro del campo, salutato dai tifosi in modi… beh, non del tutto urbani. Preferirono di gran lunga la presenza di Fiona May, portata dalla Fila, e soprattutto della Cucinotta, portata invece da Cecchi Gori. Le due signore indossarono le maglie nuove (la May con la seconda maglia, quella bianca; la Cucinotta con quella viola), fecero le foto con il pupazzone di Mario e poi la Cucinotta fu invitata sotto la curva, il resto te lo lascio immaginare. L’iconografia di Super Mario campeggiava anche su un enorme tabellone pubblicitario allo stadio di Firenze accanto al tabellone elettronico con il cronometro ed il risultato.”
Il giorno dopo, sulle prime pagine della Gazzetta, Stadio e Corriere dello Sport campeggiavano le foto del trio, per quanto possa essere ironico, per il 1998 si trattava di quanto di più vicino a una manifestazione di generale accettazione della popolarità raggiunta dai videogiochi nel nostro paese, anche se in una modalità che in pochi avremmo immaginato.
A proposito della sponsorizzazione, il direttore ricorda diversi aneddoti: in particolare un battibecco tra GiG e la Fila, sponsor tecnico. Sostanzialmente, l’idea era di realizzare una divisa della Fiorentina proprio con Super Mario; l’idraulico, invece, fu tolto dalle maglie di allenamento senza preavviso, con l’indispettimento del distributore di giocattoli. “Ci fu una riunione turbolenta in cui il Direttore Generale della Fila ironizzava sul fatto che Super Mario abbassasse il target, essendo sostanzialmente roba per bambini, mentre noi gli ricordammo che Mario era diventato più popolare di Topolino! E comunque, dovevano adeguarsi per contratto.”
Il direttore ricorda anche un’iniziativa personale: “A ogni gol fatto dai viola, sul tabellone compariva Mario trionfante (frame ripreso da un gioco della serie mandato in loop per una decina di secondi), a ogni gol subito, compariva invece Wario a mò di presa in giro. Dopo alcune settimane, la Fiorentina chiese gentilmente, sotto pressione degli Ultras, di …lasciare solo il primo e togliere il secondo!” I motivi li possiamo facilmente immaginare.
Altro episodio riguardava la squalifica del campo che costrinse l’Empoli a giocare un turno allo stadio Franchi: “Pochi giorni prima della partita l’allora Direttore Generale dell’Empoli, Fabrizio Lucchesi, mi chiamò e chiese di coprire l’enorme pubblicità di Mario: noi rispondemmo candidamente che poteva farlo da solo. Polemicamente, ci venne chiesto se avessimo per caso avuto l’intenzione di lasciare quell’enorme billboard scoperto anche in occasione, di lì a poche settimane, della visita del Papa a Firenze e raduno di fedeli dentro lo stadio. E pensammo, perché no? E così fu: con la benedizione anche di Papa Wojtyla, GiG Nintendo e Super Mario rimasero dov’erano!”

Com’era evidente, la combinazione tra il mondo dei videogiochi e le sponsorizzazioni calcistiche con donne procaci che indossavano una maglietta di Super Mario non fu apprezzata proprio da tutti. Perfino l’allora presidente di Nintendo America, Minoru Arakawa, ebbe modo di far arrivare la sua contrarietà, affermando che non era la maniera tradizionale con cui Nintendo portava avanti il marketing. GiG, però, continuò per la sua strada e, alla fine, riuscì a convincere della bontà dell’iniziativa perfino Nintendo.
Per un breve periodo, insomma, GiG con Nintendo sembravano più forti perfino del Papa e della stessa casa madre. Un sodalizio col capoluogo fiorentino che sembrava destinato a rimanere forte nel tempo, ma – come ben sappiamo – la storia racconta un finale ben diverso.

Declino di GiG (1998-1999)
A fine 1998 l’azienda fiorentina si trovava, già, in una situazione finanziaria alquanto precaria: le notizie di stampa riportano perdite per 80 miliardi di lire a fronte di un fatturato di gruppo di 537 miliardi (Repubblica 15 gennaio 1999). Uno dei collaboratori storici di GiG, Giuliano Doccioli, ricorda come nel momento di mandare in stampa uno dei prodotti più importanti dell’anno, il catalogo di Natale “Gig è bell”, la stamperia si lamentò di non esser stata pagata per il lavoro dell’anno precedente. Una notizia che mise in allarme l’intera agenzia pubblicitaria e sicuramente preoccupante per un gruppo notoriamente solido e puntuale nei pagamenti.
I fattori che hanno contribuito al rapido decadimento economico di GiG sono sicuramente diversi: tra tutti, l’arrivo di Toys’R’Us. Nel 1997, l’azienda americana – dopo una positiva esperienza in Spagna – aveva debuttato gli enormi negozi di giocattoli, tipici della catena, sul territorio nazionale attraverso una joint venture con l’azienda fiorentina. Fu il distributore italiano ad accollarsi l’onere delle aperture degli enormi punti vendita Toys’R’Us, realizzando un investimento economico non indifferente.

L’investimento si rivelò poco accorto, specialmente considerando come Toys R Us, marchio in America sicuramente molto forte, non aveva la stessa rilevanza sul nostro territorio. Farsi carico di mantenere in vita questi enormi negozi di giocattoli, spesso a mò di cattedrali nel deserto, in un periodo in cui l’industria iniziava a registrare numeri in calo, fu una grossa batosta per l’azienda fiorentina, specie tenendo in considerazione come GiG fosse già proprietaria di una propria catena di negozi, gli Amico Giò.
La stampa riporta che le società del gruppo furono messe in liquidazione già iniizio 1999: l’azienda fiorentina, in concordato preventivo, fu costretta a cederle proprio al competitore più agguerrito, Giochi Preziosi. L’imprenditore salernitano Enrico Preziosi trasformò, in seguito, la catena Toys’R’Us nell’attuale Toys Center. Un finale sicuramente amaro per due aziende che, da sempre, si erano contese il mercato del giocattolo in Italia.

Nintendo, così come tutti i prodotti GiG, passa nelle mani dell’azienda milanese. Un rapporto durato fino al 2001, di cui si trovano pochissime notizie e che non sembrava accontentare né l’azienda milanese (all’epoca apparentemente non più interessata al prodotto videoludico) né il colosso giapponese. Le pubblicità di quel breve periodo non sembrano neanche mostrare il marchio Preziosi accanto a quello Nintendo, così anche i ricordi della stampa specializzata sembrano confermare il generale poco interesse del distributore di giocattoli. Potremmo ipotizzare che la casa madre giapponese, dopo il fallimento di GiG, avesse già manifestato intenzioni di disdire l’accordo.
Il 2 gennaio 2002, Nintendo decide di creare una propria azienda a Milano, agendo sul mercato in maniera diretta, così troncando definitivamente i rapporti con il mondo dei giocattoli.
Dal 2002 a oggi
La storia degli anni in cui Nintendo fu portata in Italia da distributori di giocattoli permette un’analisi maggiormente oggettiva su quella che fu la considerazione dei videogiochi per console nel nostro paese negli anni ’80 e ’90. Facile notare, infatti, come la relativa poca dimestichezza di aziende come Mattel e GiG con il prodotto videoludico e l’approccio marketing sempre legato al balocco, possano essere considerati come uno dei fattoi che hanno contribuito a far rimanere il mercato console ancorato a cifre di vendita ridotte, pur se in costante crescita a partire dagli anni ’90.
Sony con PlayStation ha trovato terreno fertile: con un marketing diretto e aggressivo e una distribuzione capillare senza intermediari, riuscì immediatamente nell’obiettivo di cambiare il panorama dei giochi per console. In pochissimi anni, l’immaginario collettivo passa dal paragonare Super Mario a un personaggio dei fumetti a prendere seriamente in considerazione nomi come Lara Croft e Spyro the Dragon. Non si trattava più di meri emuli di Topolino, bensì provenivano da un mondo “diverso” che andava considerato in quanto tale, non più semplicemente accostato all’immaginario infantile.
Ancora oggi, a importanti fiere come Lucca Comics & Games, la presenza di Sony rimanga massiccia, a fronte di stand ridotti per Nintendo e Sega. Gli anni di Mattel e GiG, in qualche modo, finirono con l’agevolare il dominio di mercato di PlayStation, per quanto sia anche – naturalmente – da considerare il fattore “pirateria” come elemento per la vendita massiccia di console Sony in Italia, non solo negli anni di Sony ma anche in quelli precedenti. La cultura della pirateria e della facilità di approviggionamento in edicola di titoli semplici (nonché spesso buggati) ha sicuramente contribuito alla generale percezione dei videogiochi come “giochini”: titoli di poco conto e interesse, da considerare come meri passatempi e che sicuramente non valevano grossa spesa.
In conclusione, nei giorni in cui ho pubblicato questa retrospettiva, gira su diversi canali televisivi una campagna pubblicitaria Nintendo che vede come testimonial Juliana Moreira che fatica mentre gioca a Ringfit Adventure su Nintendo Switch. Permettetemi quindi quest’ultimo sorriso nostalgico lì dove ripenso a quella comunicazione naif di trent’anni fa, quando Jovanotti corteggiava una ragazza con un romanticismo squisitamente 8 bit. Come si cambia per non morire.
Fonti & Riferimenti
Interviste telefoniche con Giuliano Doccioli e l’ex direttore marketing GIG tra settembre 2020 e aprile 2021. Si ringraziano entrambi e, in particolare, quest’ultimo per la disponibilità e i materiali messi a disposizione.
Interviste svolte via e-mail nell’aprile 2021 con Marco Auletta, Alex Rossetto e Raffaele Sogni.
Articoli citati da La Repubblica e Corriere della Sera.
Consolemania n.77 (Settembre 1998), Zzap! n. 67 (Maggio 1992), K n. 15.
Si ringraziano Andrea Pachetti e Carlo Santagostino per la cortese collaborazione.
Grazie per la visita.
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Fantastico articolo Damien, davvero approfondito e ben curato. Complimenti…. Mi è piaciuto tanto.
Ti segnalo un refuso, il realizzatore dello spot N64 è Marco Valleggi e non Vallesi 😉
Ricerca interessantissima, ho divorato l’articolo
Grazie, corretto. 🙂