Shadowfire è tutt’oggi tra i titoli per home computer più celebrati dei primi anni Ottanta. Prodotto dai giovani sviluppatori della britannica Denton Design nel 1985, dovrebbe trattarsi anche del primo prodotto commerciale su cui Steven Cain abbia lavorato come designer. Per l’occasione, Cain sviluppò una delle prime avventure per Commodore a utilizzare un’interfaccia interamente basata su icone, che il giocatore poteva utilizzare per comandare il team “enigma force”, con l’obiettivo di mettere fine ai malvagi piani di conquista dell’impero del dittatore malvagio Zoff.
Alcuni mesi più tardi, Cain realizzò quello che sembrerebbe a tutti gli effetti essere un caso di “sequel instanteo”: un titolo decisamente più orientato all’azione con un’interfaccia semplificata. A tutti gli effetti, sembrava spostare il gameplay verso un genere completamente differente, finendo per essere l’ultimo capitolo della serie. Si potrebbe quindi parlare di uno dei primi casi di seguito “flop” dell’industria videoludica, o addirittura un designer che è arrivato a svendersi e semplificare un titolo perfettamente efficace solo per aumentare le vendite. Ma andarono davvero così le cose?
Enigma Force, pur radicalmente diverso dal predecessore per filosofia e meccaniche di gameplay, presenta invece diversi aspetti di game design interessanti che trascendevano il loro tempo e, forse, persino lo stesso Shadowfire.
Giustificare un sequel "commerciale"
Analogamente a Shadowfire, nella trama del sequel il malvagio traditore Zoff è riuscito a fuggire mentre il team lo stava conducendo per esser sottoposto a giusto processo. Sarà, quindi, compito del giocatore (descritto nel manuale come effettivo membro del team) trovarlo ed assicurarlo – si spera definitivamente – alla giustizia. Il secondo capitolo prosegue la trama in modo convincente, sebbene non fornisca molti dettagli su quanto accaduto tra i due titoli.
Come anticipato, Enigma Force sfrutta un design chiaramente più improntato all’azione, tanto che, almeno parzialmente, l’ispirazione più che in Shadowfire si potrebbe trovare in un altro gioco dei Denton Design, “Frankie Goes to Hollywood”. Con un’interfaccia ridotta all’osso e una vista isometrica 2D che permette un’immediata comprensione dell’azione in corso, può essere sorprendente scoprire che EF rimanga comunque un’avventura con elementi d’azione, comandata via interfaccia a icone.
Il team è composto di quattro membri, contro i sei del predecessore: l’insettoide Sylk, la ribelle Sevrina, il droide da combattimento Maul e il leader dal braccio cibernetico, Zark. Se in Shadowfire era necessario pianificare le proprie decisioni (e turni) in funzione delle abilità specifiche di ogni personaggio, in EF diventa certamente meno necessario. Il designer Steven Cain decise di lasciar scegliere liberamente al giocatore come controllare i membri del team. È possibile impartire (o accodare, in maniera non dissimile da quel che si farebbe oggi in The Sims) singoli ordini a uno dei personaggi attraverso le icone, oppure controllarli direttamente con il joystick, attraverso la curiosa icona “muschio verde”. Si può anche cambiare modalità al volo, in tempo reale.
L'Enigma s'infittisce
Oltre a dover recuperare Zoff, c’è altro che bolle in pentole. I membri del team, dopo esser sopravvissuti a un atterraggio di emergenza su un pianeta sconosciuto, scoprono di essere nel mezzo di una guerra civile tra gli insettoidi e l’Impero. Si tratta di una sottotrama che il giocatore può influenzare stringendo amicizia con l’ambasciatore insettoide, il quale manderà i suoi simili in aiuto del team. L’idea delle sottotrame aggiunge un livello di profondità inedito al gameplay, in particolare per il 1985. Tutti questi elementi accrescono la natura duale di EF: da un lato attente pianificazioni e decisioni, dall’altro azione immediata e sparatorie. Il gameplay si svolgerà sempre in tempo reale, il che significa che gli eventi avranno luogo indipendentemente dall’agire del giocatore.
Aver abbandonato la vista aerea, più l’interfaccia decisamente ingrombrante di Shadowfire, per arrivare allo snello 2D isometrico di Enigma Force, permette – com’è evidente – un approccio ben facilitato per i movimenti e le azioni dei personaggi, ma rende la navigazione sulla mappa meno immediata. Esplorare la base e memorizzare i luoghi sarà infatti un elemento chiave, in particolare a causa dei vari personaggi (Zoff, le guardie dell’Impero e gli insettoidi) che girano nel complesso in maniera casuale. Oltretutto, esattamente come nel precedente, bisogna ricatturare il generale entro un tempo limite. Il combattimento è prevalentemente automatico, ma può anche essere controllato tramite joystick, volendo, decidendo la direzione in cui sparare. Dato che tutti i personaggi hanno un proprio set di abilità, sfruttarne la sinergia rimane un elemento fondamentale per abbracciare appieno e dominare le meccaniche di gameplay: un’idea fonte d’ispirazione per classici successivi come Jagged Alliance della Sirtech.
E qui arriva un altro elemento sorprendente: perché, nonostante tutto, Enigma Force non è un gioco semplice a cui approcciarsi, persino dopo aver giocato per ore il lodato predecessore. Pur con un’interfaccia completamente ripensata per adattarsi al nuovo stile action del gameplay, su schermo troveremo un’abbondanza d’icone legata alle meccaniche dell’avventura: raccogliere oggetti, gettarli, interagire con computer e interruttori, seguire persone. Andare a recuperare il manuale, purtroppo, non aiuta granché nel cercare di decifrare cosa fa e come dovrebbe essere usata ciascuna icona. Insomma, nessuno ci prenderà per mano: toccherà a noi imparare il funzionamento, rigorosamente per tentativi.
La natura dualistica di Enigma Force lo rende… beh sì, enigma, se mi perdonate il gioco di parole. Più lo si analizza, più la combinazione micidiale di come Cain provò a soddisfare le aspettative del pubblico, allargando il potenziale di vendite, cercando di non alienare i veterani di Shadowfire… annebbierà la mente. Gli insettoidi, se aiutati, potrebbero veramente vincere la guerra? La bomba trovata nella base, ha uno scopo preciso? Le singole abilità dei personaggi sono tutte necessarie per progredire? Nonostante tutte queste domande enigmatiche, il prodotto finale – ai tempi – sembrava non porre particolari problemi. In generale, la stampa lo considerò un seguito all’altezza, consigliandolo senza remore ai fan del primo capitolo, persino nelle recensioni negative. Tuttavia, ci sono molti – me compreso – che non sono mai impazziti per il primo capitolo, soddisfatti semplicemente con il sequel, così come tanti che preferiscono fermarsi a Shadowfire.
Dunque, per tornare alla domanda con cui ho aperto questo articolo, quale sarebbe la vera natura di Enigma Force?
"Abbiamo rimosso le icone"
E arriviamo quindi a un altro colpo di scena: pur non essendo di immediata accessibilità, Enigma Force non è per nulla difficile. Per gli standard del 1985, specialmente per il Commodore 64, si posiziona probabilmente tra i titoli più facili. Una volta memorizzata la mappa, è possibile anticipare i movimenti di Zoff e completare il gioco in una decina di minuti. Tornando a spron battuto alla tesi della “svendita”: il predecessore era sicuramente più complesso, oltre a richiedere tempo per essere finito, anche dopo aver memorizzato tutto. In questo senso, sarebbe scontato considerare Enigma un seguito deludente ma, francamente, quasi quarant’anni dopo, tale dettaglio di gameplay risulta irrilevante. L’approccio di Cain fu a dir poco rivoluzionario in come riuscì a bilanciare azione, strategia e gestione del team in un unico pacchetto, cercando anche di soddisfare un pubblico videoludico più ampio. Si potrebbe argomentare che la rivoluzione non fu un totale successo, certo, ma il genio traspare con evidenza.
Graficamente, si trattò di un salto avanti rispetto al predecessore, con sprite grandi e discretamente animati, e, in generale, una veste ben più pulita. Non c’è grande varietà di ambientazioni nella base, però, il che potrebbe rendere più complicato provare a memorizzare la mappa. Gli effetti sonori sono fantastici e c’è anche una splendida melodia di Fred Gray che accompagna il gioco dall’inizio alla fine. Il musicista ricorda mentre lavorava al comparto sonoro: “avevo un economico sintetizzatore che usavo per inventare melodie, cominciando a lavorare prima sul sottofondo, le fondamenta del pezzo, cercando ispirazione per il resto. Pasticciavo con il sintetizzatore con una mano mentre mettevo insieme un brano e nuovi motivi prendevano forma nelle mie dita (non nella mia testa) mentre maneggiavo il sintetizzatore. […] così è stato infatti per Enigma Force, da dove cavolo è venuta fuori quella melodia?”
Nel video che segue, Fred menziona Enigma Force come un “gioco giapponese”; non sono esattamente sicuro di cosa vorrebbe dire:
Abbiamo menzionato la stampa, quindi vediamola. La rivista Crash pubblicò una recensione entusiasta, premiando il gioco della Denton Design con 88/100, descrivendolo come il “degno successore di Shadowfire”, con altre riviste che seguirono a ruota. Zzap! fu tra le poche – se non l’unica – pubblicazione per nulla entusiasta del gioco, uscendosene con un 65/100 ed etichettando Enigma Force come un sequel deludente. Non solo per la grafica scialba, sebbene gli altre due recensori avessero opinioni differenti al riguardo, ma anche colpevolizzando le istruzioni di confondere le idee al giocatore.
Trovare informazioni sullo sviluppo di Enigma Force, purtroppo, ha rivelato ben poche informazioni e con la morte di Steven Cain, credo sia improbabile che informazioni interessanti emergeranno in futuro. Inoltre, non aiuta il fatto che, all’epoca, includere nei crediti gli sviluppatori non fosse certamente la regola, pertanto individuare chi effettivamente lavorò su cosa, è quantomeno problematico. Da ciò che sono riuscito a trovare, l’idea di avere un’interfaccia basata sulle icone originò apparentemente da Ian Weatherburn, anch’egli passato a miglior vita.
L’idea con cui ho aperto l’articolo, quella del “sequel venduto”, era chiaramente nulla più di una provocazione, pur rimanendo qualcosa su cui val la pena riflettere. Nel processo di sviluppare un seguito – in pochi mesi – di un’avventura con forti elementi strategici che ebbe gran successo di pubblico, Steven Cain cercò d’immaginare qualcosa di completamente differente, pur mantenendo le radici del genere intatte. Enigma Force è sicuramente più accessibile e “facile” per il pubblico, eppure, allo stesso tempo, lo è meno. Il suo dualismo paradossale fu frutto di un approccio unico nel genere “avventura”, seguito da ben pochi sviluppatori in seguito, specialmente in un’era in cui la discussione sui generi non era nemmeno iniziata. Steven Cain continuò a sviluppare videogiochi negli anni successivi, tra cui Black Lamp ed il successo Star Trek: The Rebel Universe, ma – probabilmente – i suoi titoli più influenti rimangono quelli della serie Shadowfire legati a Denton Design.
Sebbene Enigma Force possa essere, oggi, oggetto di fascino e interesse più per gli storici del videogioco che semplici odierni videogiocatori, mi sento di consigliarlo a tutti gli amanti della strategia e del game design. Magari, potrebbe rivelarsi quel genere di particolare stranezza che cattura immediatamente l’immaginazione.
Grazie per la lettura.
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Grazie a Michael Caminale per l’aiuto sulla traduzione.
Avevo 8 anni, questo titolo generava in me forti emozioni. Enigmatico, personaggi carismatici e quella guerra in background lasciava molto all’immaginazione e all’approccio da dover utilizzare, la soundtrack ne ampliava le sensazioni. Grafica e ambientazione futuristica, quell’atterraggio di fortuna in quella base (o vault) e quella squadra pronta all’esplorazione. Ricordo Zoff, anch’esso personaggio con un alone di mistero, da dover cercare. Non credo che a 8 anni avrei potuto goderlo appieno ne tanto meno giudicarlo, inoltre non ho giocato al precedente quindi esperienza affascinante e del tutto nuova. Condivido tuttavia la delusione quando tutto si riduceva a cercare zoff enterminare il tutto, in pochissimo tempo.
Saluti