Nella storia dello sviluppo videoludico italiano, il genere delle avventure punta e clicca potrebbe essere considerato – tradizionalmente – come quello che più ha influenzato il mercato per l’intero decennio degli anni 90. Probabilmente anche più del calcio, gli enigmi sono stati tra i primi collegamenti affettivi tra il Belpaese e il mondo videoludico. E qui arriva la storia della Dynabyte Software.
D’altronde, all’interno del genere, nessuna software house ha avuto più facilità di pubblico che la LucasFilm Games (poi LucasArts): titoli come Maniac Mansion e la saga di Monkey Island trovano tuttora, a decenni di distanza, una forte schiera di seguaci. Le avventure della Sierra Entertainment, invece, sembravano far più fatica a trovare un mercato nel nostro paese, soprattutto perché tradotte di rado e caratterizzate spesso da un umorismo troppo “americano”, difficili da approcciare per chi non parlasse inglese.
I titoli della Lucas ebbero tutti un ottimo riscontro di pubblico, con l’eccezione di Loom che fu vittima del passaggio di consegne tra l’originale distributore Leader e C.T.O. e venne tradotto solo anni dopo la sua uscita. Le avventure vendettero così tante copie che, da sole, riuscirono a plasmare non solo il mercato dei videogiochi, ma anche quello degli sviluppatori. Non sarebbe eccessivo, dunque, affermare che c’è qualcosa di patologico nel sempiterno amore dell’Italia per i giochi d’avventura. Di conseguenza, le poche software house italiane fiorite negli anni ‘90 concentrarono i loro sforzi sul genere così da portarlo sugli homecomputer, come PC e Amiga; per quanto risulta, nel decennio non furono sviluppati giochi – made in Italy – per console Sega o Nintendo.
Tra le avventure italiane pubblicate negli anni ‘90, Nippon Safes Inc. e, in particolare, The Big Red Adventure sono considerate tra le migliori, del tutto degne di essere ancora giocate, al momento persino supportate da ScummVM. Responsabile di entrambi i titoli era la software house genovese Dynabyte, la cui storia sembrava essersi persa nelle pieghe del tempo e che ho ricostruito con l’aiuto dei diretti interessati.
E-motion software: il primo passo
Vi sono due intrecci narrativi che porteranno alla nascita di Dynabyte, la prima delle storie su cui val la pena soffermarsi è quella di E-motion.
E-motion Software fu l’azienda dove il grafico Massimo Magnasciutti e il programmatore Paolo Costabel si incontrarono per la prima volta. L’azienda nasceva come costola della Newtronic dove, nel 1988, i due collaboravano insieme ad Alessandro Tento e Roberto Sagoleo. Il grafico ricorda come non fossero proprio una software house in senso stretto; lavorando per la Newtronic, erano riusciti a mettere insieme un piccolo gruppo di persone con l’obiettivo di sviluppare un videogioco che collimasse con il loro interesse nel cyberpunk e in Blade Runner. Così, cominciò a prendere forma il progetto di Crimetown Dephts, originariamente pensato per Amiga, e successivamente progettato anche per Atari ST e PC.
La trama narra di un mercenario senza nome, assoldato dal Tiranno Galattico per risolvere la guerre tra bande criminali che vanno avanti sul pianeta natale di quest’ultimo. Il gameplay si alternava tra avventura e esplorazione (nello stile di Barbarian della Psygnosis, racconta Massimo in un’intervista di allora) e sequenze sparatutto. Paolo Costabel menziona che riuscirono a chiudere un accordo piuttosto favorevole per due giochi con Mirrorsoft, noto publisher britannico. Grazie a quei fondi E-motion Software si era trasformata in una vera e propria azienda: per una brigata di giovani italiani lavorare fianco a fianco con ammiratissimi veterani come The Bitmap Brothers, sembrava troppo bello per essere vero.
La favola non durò a lungo.
Il team aveva pochissima esperienza nello sviluppo e questo – conclude Paolo Costabel – si rivelò l’ostacolo principale al completamento di un titolo così ambizioso. Continuavano ad aggiungere sempre più cose, “da quello che era iniziato come un piccolo romanzo di fantascienza, ci siamo ritrovati con una specie di enciclopedia grazie all’incoraggiamento della Mirrorsoft che ci ha galvanizzati” racconta Alessandro Tento in un’intervista per la rivista Commodore Gazette, menzionando anche diverse discussioni con Magnasciutti su come dovesse essere progettato il gameplay. Successivamente Tento volò in America per collaborare con Activision come capo della direzione artistica sulle serie di Call of Duty e Spyro, tra le altre cose.
Racconta Massimo come Mirrorsoft assegnò loro un project manager che non sembrava saper bene cosa stesse facendo. Non appena l’editore britannico scoprì che Crimetown Dephts avrebbe occupato ben tre floppy disk e che, di conseguenza, sarebbe stato piuttosto costoso da pubblicare, stracciò il contratto con E-motion e il gioco fu cancellato nel 1989. Nonostante non abbia mai visto la luce del giorno, Crimetown è tutt’oggi ricordato con affetto dai fan Amiga per l’ottima resa grafica che prometteva. Magnasciutti conferma come il titolo fosse “finito al 90%”, almeno per ciò che riguardava la parte grafica, ma non riuscirono mai a esser soddisfatti del gameplay. La “rolling” demo sembra essere l’unica parte che sia stata completata.
La nascita di Dynabyte: Steve Sailing on the Crime Wave
Il secondo elemento che porterà alla nascita di Dynabyte lo troviamo nei sogni del giovane quindicenne di Rapallo Christian Cantamessa. Appassionato di giochi di ruolo, cinema e videogiochi, il suo sogno era di lavorare a un titolo che si avvicinasse allo stile delle sue amate avventure Lucasfilm. Non avendo, però, alcuna esperienza nello scrivere codice, bensì solo nell’immaginare storia e personaggi, non avrebbe avuto modo di lavorare a un progetto in solitaria. Il caso volle che fu Massimo Magnasciutti a visitare lo studio grafico del padre di Christian, così che tra i due si stabilì subito un contatto, reso fruttuoso dall’esperienza di sviluppo accumulata dal grafico su Crimetown Dephts. Era possibile, dunque, per i tre mettersi lavorare al progetto di Christian, grazie ai fondi rimediati dal padre di Cantamessa che si mette in contatto con il conoscente Lovrano Canepa.
Il titolo originario del progetto di Christian era Steve on the Crime Wave. “Avevo pensato a questo ladruncolo in stile Larry Laffer con una storia che ricordasse Lupin III, portata avanti da sequenze video cinematografiche a là The Three Stooges e Defender of the Crown della Cinemaware” ricorda il designer. Riciclando il codice sviluppato per la demo di Crimetown Depths, i tre riescono velocemente a creare una semplice demo usando proprio lo sprite originale del mercenario. “Servivano, però, altri fondi per proseguire il lavoro, li troviamo con l’arrivo di Bruno Boz, conosciuto da Lovrano Canepa. All’epoca, ricordo, Bruno aveva investito in un progetto di occhiali 3-D. Con quei primi fondi e grazie a una demo, talmente instabile che abbiamo registrato su VHS perché altrimenti sarebbe crashata subito, andammo all’ECES di Londra a settembre del 1991. Ad accompagnarci c’era Simone Crosignani (all’epoca di Zzap! ndr), consigliato dal mio amico e grafico Fabio Corica, che ci consigliò di aggiungere Sailing al titolo originale.“
Crosignani racconta di aver accompagnato Cantamessa e Lovrano Canepa a Londra, dietro indicazione di Fabio Rossi (all’epoca direttore di C+VG), per presentare l’idea della “nuova” software house. “Avevamo praticamente un floppy con le immagini di Magnasciutti realizzate in Deluxe Paint: magari anche promettenti, ma senza un vero e proprio progetto di gioco. Sicuramente c’è da considerare come all’epoca fosse tutto più artigianale, ma attirare l’interesse di un publisher senza un progetto ben definito rimaneva complicato” commenta l’ex giornalista. Il prototipo (qui accanto una rarissima immagine ritrovata da Christian) realizzato da Cantamessa, Magnasciutti e Costabel, finanziato con quei primi fondi, sarà la base per il futuro Nippon Safes Inc.
Nel frammento riportato qui sotto relativo all’esperienza londinese, dalla rivista CU Amiga, viene menzionato anche un altro titolo di cui Christian ricorda: “Praticamente utilizzammo delle immagini del portfolio di Magnasciutti per fingere che avessimo più di un titolo in lavorazione! Il riferimento alla televisione è, invece, alla compagnia di occhiali 3-D di Bruno Boz, evidentemente non avevamo ancora formato la società (cfr. infra ndr) quando siamo andati a Londra. La parte sullo shoot em up, invece, penso si tratti proprio di un qui pro quo.”
I tre dichiarano (v. trafiletto su C+VG qui accanto) la nascita della Dynabyte, in realtà utilizzando un nome che viene da una precedente idea di Magnasciutti. Nonostante il tentativo fallito all’ECES con i publisher stranieri, non ci si perde d’animo e grazie all’interessamento e ai fondi condivisi tra Bruno Boz, Lovrano Canepa e Cantamessa senior, si arriva alla creazione di Euclidea. Questa sarà la società che supporterà il marchio Dynabyte nei primi tempi.
In seguito alle prime discussioni sul design dell’avventura grafica, Christian ricorda – tra le altre cose – di aver deciso di modificare il nome del personaggio: “mi piaceva che fosse un gioco di parole su Doughnuts, ciambelle in inglese, così ho pensato a Doug Nuts.” Il passaggio dall’originale idea del ladro in stile Larry Laffer, all’avventura con tre personaggi sarà anch’essa una proposta di Christian. Il designer ricorda che era affascinato dalla possibilità che Steve/Doug potesse avere tre personalità diverse. Queste sarebbero state create come conseguenza alle risposte del giocatore in un test attitudinale all’inizio del gioco, un’idea che Magnasciutti riutilizzerà in seguito. “Fu proprio Massimo ad abbozzare una storia che si dividesse tra tre personaggi, sicuramente più semplice dal punto di vista del design rispetto alla mia idea” aggiunge Cantamessa.
Nel frattempo, però, a causa di alcune discussioni tra i soci, il padre di Christian prende la decisione di ritirarsi dal capitale di Euclidea. Da lì, l’impegno del giovane designer sull’avventura grafica giungerà presto al termine: d’altronde, da liceale, poteva contribuire solo il pomeriggio, mentre gli altri programmatori lavoravano a pieno regime.
Dalla Crime Wave a Nippon Safes
Con la software house rimasta con soli due componenti attivi, Marco Caprelli si aggiunge al team dopo aver conosciuto Costabel e Magnasciutti, nel periodo di Crimetown Depths, in un negozio di videogiochi a Genova, “Ovviamente lì giravano solo giochi copiati!” ricorda Marco. “All’epoca avevo sviluppato un parser per avventure testuali nello stile della Infocom e li disturbavo spesso per avere consigli su come migliorarlo. Una volta entrato in Dynabyte, lavorai subito su Nippon Safes perché avevano bisogno di qualcuno che si occupasse del comparto musicale.”
Quanto il progetto finale si discosti effettivamente dalla visione originale di Cantamessa non ci è dato saperlo: sicuramente l’idea dei primi piani sui volti dei personaggi parlanti era già presente nel prototipo. L’avventura si sviluppa controllando tre diversi personaggi con archi narrativi paralleli, a tal proposito Massimo ricorda come il design fu ispirato da ore di gioco su Leisure Suit Larry III della Sierra. Paolo Costabel racconta che, insieme al classico gameplay in stile Monkey Island, venne ispirato dal suo amore per il Giappone – evidente dopo aver letto il manuale – da dove origina l’idea di un’avventura basata su “Tyoko”, con una galleria di stereotipi delle varie nazioni. Vuoi per i diversi alti e bassi iniziali, vuoi per un team numericamente limitato, Nippon Safes Inc richiese circa un anno e mezzo di lavorazione con, apparentemente, una buona parte dell’avventura che finì per essere cancellata perché lo sviluppo aveva già richiesto troppo tempo.
Lo sviluppo del primo titolo della Dynabyte finirà per coinvolgere anche un altro nome del mondo dello sviluppo italiano: Fabrizio Lagorio (Trecision). Questi ricorda di esser stato assoldato dalla software house per convertire per PC l’avventura grafica, all’epoca ancora chiamata – da quel che ricorda il programmatore – “The 3D”. Consideriamo come, nei primi anni 90, di programmatori esperti in DOS se ne trovassero davvero pochi, l’attenzione degli “smanettoni” era ancora pienamente dedicata all’Amiga. Lagorio ricorda di aver completato la conversione per un buon 50%, ma di non esser stato pagato dopo i primi tre mesi di lavoro: “ho inviato alla Dynabyte tutto quanto fatto dopo sei mesi. Non ne ho mai più saputo nulla, quindi non saprei nemmeno se abbiano usato parte del mio codice nella versione finale”. In ogni caso, il nome di Lagorio non compare tra coloro che hanno sviluppato la versione per DOS.
Massimo ritiene che la versione Amiga di Nippon Safes Inc. sia quella originale: la conversione su PC non gli piacque a causa di diversi tagli grafici necessari per mantenere la fluidità dell’azione, inoltre non ha un grande amore per la colonna sonora. Su quella Caprelli, pure, ha ricordi pessimi: “fu la prima volta che lavoravo col PC Speaker e sperai davvero anche l’ultima! Su Amiga invece utilizzai Fast Tracker, molto più piacevole”. In compenso, dice di non esser molto convinto dalla box art, per lui sarebbe stato meglio lasciarla fare a Magnasciutti, per rappresentare al meglio lo stile dell’avventura.
Oltre a uno sviluppo particolarmente complesso e lungo, Nippon Safes Inc. venne ulteriormente colpita anche da diversi problemi in fase di pubblicazione, ricorda il produttore e CEO Bruno Boz. “Avevamo un accordo con un editore, con una potenziale data di uscita fissata per il 1 aprile 1992. Pagammo noi stessi per stampare le scatole, manuali e floppy e poi l’editore praticamente finì per fallire. Non avevamo altra scelta che distribuire le copie del gioco da soli. Avevamo investito un’enorme quantità di denaro ed eravamo tutti estremamente preoccupati su come sarebbe stato recepito il gioco.”
Fortunatamente per il produttore, l’avventura – uscita a novembre dello stesso anno – fu ben accolta dalla stampa specializzata nazionale che, a quanto pare, si dichiarò sorpresa dallo scoprire che il primo titolo di una software house italiana potesse essere, almeno, decente. Riscosse un discreto successo anche con il pubblico, che, per l’epoca e per un mercato ancora oltremodo afflitto dalla pirateria, significava vendere poco più di mille copie.
Curiosamente, soprattutto per il 1992, Nippon Safes Inc. fu celebrato perlopiù dalla stampa internazionale. Costabel mi racconta che, considerando la calorosa accoglienza, finirono presto per rimpiangere di aver fatto pochissima attività promozionale: il gioco è stato tradotto ma, anche per i citati problemi con il publisher, non è mai ufficialmente uscito fuori dall’Italia. Diverse persone mi hanno menzionato come Nippon Safes Inc. sia, in realtà, stato distribuito in Europa, in Francia addirittura da Ubi Soft, nonostante Boz e i miei intervistati confermino l’assenza di accordi del genere con publisher internazionali. Forse, la distribuzione internazionale potrebbe avere qualcosa a che fare con quanto menzionato dal produttore sul fallimento del precedente accordo, ma nessuno dei miei intervistati offre certezze al riguardo.
Massimo conclude con un tipico “mugugno genovese”, dicendo che i programmatori non hanno mai visto un centesimo da tutte le copie vendute.
La Dynabyte Software: Espandere i propri orizzonti
Nel 1993, Dynabyte avviò una breve collaborazione con un team di Palermo, valutando la pubblicazione di un prodotto da loro sviluppato. Ricorda Massimo, “sono venuti da noi con un prodotto già finito e hanno chiesto se potevamo distribuirlo nel nord Italia”. Si parla raramente di Striker Occulta Lapis, specialmente perché non si trattò proprio di un videogioco. Creato per venir incontro alla crescente domanda di prodotti multimediali, fu più che altro una sorta di avventura interattiva a fumetti su CD-Rom: il giocatore doveva semplicemente cliccare per far avanzare la storia.
Ripensando all’epoca, in effetti, viene facile osservare come, nel nostro paese (il discorso potrebbe valere anche altrove), il lettore CD non fosse uno strumento molto diffuso, a causa dell’alto costo e la limitata disponibilità di supporti: perfino gli stereo dotati di lettore erano piuttosto rari. Non deve dunque sorprendere se, come ricorda Bruno Boz, le copie furono stampate ma mai effettivamente distribuite.
Con il discreto successo della prima avventura grafica, oltre ai tentativi di espansione del portfolio che vedremo in seguito, Caprelli ricorda come il team fosse poco soddisfatto dell’organizzazione della compagnia. L’obiettivo principale era il ripetersi dei diversi errori che avevano portato Dynabyte vicino all’implodere durante lo sviluppo di Nippon Safes. Si decise, così, di sciogliere Euclidea e creare una nuova società, Ludomedia, pur mantenendo il marchio Dynabyte con il nuovo il logo con l’accendino.
La neonata impresa avrebbe avuto diversi soci, tra cui Caprelli, con un investimento fisso di due milioni di lire, con Paolo Costabel come legale rappresentante e Bruno Boz come amministratore delegato. Marco, durante l’intervista, ha ricordato come il logo Ludomedia fosse stato effettivamente disegnato dalla sua ragazza all’epoca.
In seguito ai cambiamenti nell’organizzazione societaria, Dynabyte – incerta sul da farsi – cercò inizialmente di discostarsi dal genere punta e clicca, al fine di allargare la propria esperienza, lavorando su due progetti radicalmente diversi tra loro. Il primo era un titolo di combattimento uno contro uno, Tube Warriors, sviluppato esclusivamente per AGA Amiga.
Nuovamente ambientato in Giappone, i combattimenti si svolgevano nelle stazioni della metropolitana (come il titolo suggerisce): il giocatore doveva sconfiggere tutti i leader delle altre bande rivali così da conquistare il loro territorio. In modo analogo a Fatal Fury, i personaggi potevano alternare combattimenti in primo piano e in background. Costabel lo descrive come un progetto poco convincente, dal momento che il genere del combattimento non era qualcosa con cui avevano esperienza e, graficamente, non sfruttava a pieno la potenza degli AGA. Bruno Boz ricorda che non riuscirono mai a farlo funzionare, se non come mera demo e finì con non essere mai pubblicato, con solo poche copie di prova prodotte. Anche qui, diversi utenti affermano invece che fu effettivamente pubblicato e uscì nei negozi, perfino in Francia.
Curiosamente, il titolo che, invece, riuscirà ad arrivare a un’effettiva pubblicazione e distribuzione nel 1994, è Late Night Sexy Tv Show, sviluppato da Massimo Magnasciutti e Maurizio Ghirelli come esclusiva per MS-DOS, anche se Massimo ne parla come fosse una sua creatura. Considerando come risulti un’esperienza univoca e, immagino, poco familiare per il grande pubblico, vale la pena soffermarsi sul design, tanto più perché sviluppato da una software house che, dal 1993 in poi, lavorerà solo su altre avventure grafiche.
LNSTS è strutturato come un quiz a premi, condotto dalla conturbante Vera Cyntex, presentando, però, nel design anche elementi che lo avvicinano a un dating simulator. Lo stesso Lovrano Canepa, in un’intervista su The Games Machine (cfr infra), ne parlava come un titolo sviluppato su una macchina Silicon Graphics. L’azienda genovese ne aveva effettivamente acquistata una, ma per vari problemi tecnici, non venne mai utilizzata per lo sviluppo del titolo a sfondo erotico, né futuri progetti della Dynabyte, almeno per quanto si ricordino gli intervistati. Caprelli la ricorda, più che altro, come un costoso giocattolo per l’ufficio, con Giorgio Sommariva che, concordando, aggiunge “era usato principalmente per divertirci, anche se veramente quella macchina costava una fortuna!”.
Massimo Magnasciutti parlando dello sviluppo del titolo, ricorda:
Cercare di creare personaggi umani di un certo realismo non è mai stata impresa semplice; la figura umana realistica è da sempre l’ultima frontiera della computergraphic. Farlo poi con la tecnologia hard-soft del 1993 era impresa quasi disperata […] i mezzi a disposizione all’epoca erano degni di una descrizione fantozziana: computer 486 DX 33 MHz, 8 mega di RAM, 80 mega di HD, scheda grafica 2D Triton (?), schermo singolo da 14″, copia crackkata di 3D studio DOS senza manuali.
Nella medesima anteprima su The Games Machine, Lovrano Canepa menziona come il gioco sarebbe anche dotato di un algoritmo (reACTOR) in grado di gestire le emozioni e le reazioni del personaggio in tempo reale.
Magnasciutti racconta come l’idea originale di sviluppare Late Night Sexy Tv Show nacque da una riunione interna che arrivò presto alla conclusione che l’unico argomento che avrebbe sicuramente fatto vendere un gioco era proprio quello sessuale. L’obiettivo del design, ricorda Massimo, era invece di “fare la parodia di quegli stupidi giochi televisivi” come La Ruota della Fortuna.
L’aspetto della creazione del personaggio, in seguito a una serie di domande in stile test attitudinale, ricorda proprio la simile idea di design del prototipo di Steve Sailing on the Crime Wave: dopo aver selezionato una serie di preferenze, il giocatore partecipa alla trasmissione, cercando di rispondere correttamente a oltre mille diverse domande da quiz. Indovinare la risposta esatta darà diritto a un premio in denaro, che può essere utilizzato per avanzare ulteriormente nella propria carriera, modificare il proprio corpo (con opzioni come ridurre le dimensioni del proprio pene o una deflorazione chirurgica) o conoscere meglio i gusti del partner, uno degli altri concorrenti.
Agli script di Late Night collaborò anche Alberto Boz, figlio di Bruno, che ricorda l’esser entrato per svolgere più che altro lavori di basso livello: “in effetti, è vero che a 19 anni non si poteva rifiutare di lavorare in una software house, ma in generale, bisogna dire che la disciplina lavorativa non era uno dei punti di forza della società. D’altronde, eravamo tutti under 30, eccetto mio padre.”
Massimo, evidentemente appassionato dell’immaginario legato a Leisure Suit Larry, aveva legato la condizione di vittoria in Late Night al diventare il compagno ideale per il partner prescelto così da coronare il proprio sogno d’amore nella macchina VR “Orgasmatic”. Si aggiunge, però, che avrà diritto al premio finale solo colui che, nella coppia, sarà dotato di maggior “fluido cosmosensuale”. Nello scrivere la sceneggiatura, lo sviluppatore decise di dare libero sfogo al proprio senso dell’umorismo, inserendo ogni tipo di battuta possibile, senza censure. Ciò è tanto più rafforzato dalla lettura del manuale, scritto interamente dallo stesso Massimo, a mò di parodia di una rivista scandalistica. L’attenzione ai dettagli è tale che, leggendo le due pagine intere di finto palinsesto televisivo (a fronte di sole cinque pagine dedicate al funzionamento del gioco), l’impressione è che il manuale abbia finito col richiedere più tempo che lo sviluppo del gioco vero e proprio.
Spostandosi sul tema dei riscontri sul mercato, Massimo ricorda che, a quei tempi, l’importante era cercare di rimanere visibili nel settore dei videogiochi: “anche se il tuo gioco era una schifezza, tutto sommato non era un gran problema, contava solo riuscire a farlo uscire. Preferire la quantità alla qualità.” Late Night non ha, comprensibilmente, venduto granché bene, anche se la maggior parte delle persone con cui ho avuto modo di parlare lo ricorda ancora in maniera piuttosto vivida. Forse più sorprendenti, invece, sono state le recensioni entusiaste della stampa. Videogames lo premiò con un 90% mentre The Games Machine con 89 [più di Nippon Safes Inc] affermando:
All’inizio sembrava un altro titolo insensato […] ma lo consiglio vivamente, non solo è molto divertente, ma dura anche moltissimo, diventando sempre più intrigante ed emozionante!
Magnasciutti lascia Dynabyte in seguito all’uscita di Late Night, affermando di non trovarsi più a suo agio con la nuova direzione della società. Il grafico mi ha dato il permesso di caricare il gioco su archive.org.
Tra i diversi progetti Dynabyte che non videro mai la luce, Marco Caprelli ricorda Crimson Planet, realizzato in voxel space: un gioco di combattimenti ambientato su Marte con una storia con protagoniste due fazioni in lotta per la conquista, appunto, del pianeta rosso. Il motore grafico era stato realizzato dai membri del gruppo della scena demo Soft One, di Perugia.
Dynabyte alla conquista dell'Europa
Dopo la breve parentesi caratterizzata dalla sperimentazione, la società genovese decide di ritornare sul genere più familiare: l’avventura punta e clicca. The Big Red Adventure fu sviluppato, infatti, come sequel diretto di Nippon Safes Inc, con i tre protagonisti che ritornano per un’avventura più lunga e complessa. Dynabyte, più di ogni altra cosa, voleva evitare che si ripetessero i problemi con i publisher che avevano portato agli scarsi numeri di vendita del precedente. Il team andò all’ECTS di Londra del 1994 per mostrare una rolling demo del gioco, ricevendo discreto interesse da publisher come Virgin, ricorda Caprelli, ma alla fine furono convinti dalla Core Design.
Lo stesso Costabel volò a Derby, in Inghilterra, per mostrare una demo giocabile alla società allo scopo di finalizzare l’accordo editoriale. Mi dice che il team lavorò senza sosta per 72 ore filate per cercare di risolvere tutti i bug, ma anche che ne valse la pena, dal momento che riuscirono a strappare l’accordo. Successivamente, il produttore Adrian Smith verrà a Genova per la firma del contratto di distribuzione, Caprelli ricorda di aver parlato con Smith e di aver menzionato l’assenza di protagoniste femminili nei videogiochi, con il produttore che rivelò in quella circostanza che in effetti stavano lavorando a Tomb Raider.
Originariamente intitolato “Operation Matrioska”, Caprelli racconta che fu proprio la Core a decidere di cambiarlo in The Big Red Adventure affinché avesse un afflato più europeo. L’avventura fu distribuita in tutto il continente; anche se si trattava del sequel di un gioco apparentemente non molto conosciuto in Europa, egli ricorda di come l’editore, a quanto pare, non lo considerasse un ostacolo.
Giorgio Sommariva, entrato a far parte del gruppo nel 1994, ricorda di aver subito cominciato a lavorare sulla grafica di TBRA. Menziona anche quattro settimane di chiusura, matte e disperatissime, per finire il titolo in tempo così da rispettare le scadenze, riflesse anche nella narrativa stessa, considerando come il gioco si concluda in maniera un po’ frettolosa. Sommariva lavorò anche ai dialoghi e alle descrizioni: “Quando avevo finito con la grafica o facevo del testing oppure scrivevo dei dialoghi. Costabel aveva sviluppato un engine (Parallaction – ndr) che caricava in-game ciò che avevamo scritto in un semplice editor di DOS. Alle volte aggiungemmo anche cose piuttosto a caso, come riferimenti alla Sampdoria oppure a ex fidanzate!”.
Alberto Boz ricorda come il contratto con Core Design rappresentò un momento cruciale: “Dall’Inghilterra arrivavano ogni giorno fax con la lista bug da correggere, loro avevano un team di 30/40 tester e noi un solo sviluppatore! Insomma viaggiavamo a due velocità diverse. Loro erano già un industria videoludica e noi ancora un piccolo gruppo di artigiani.”
Anche se il contratto con Core Design portò a un discreto numero di vendite (22k copie circa, ricorda Boz) e, se non altro, di andare in pari con l’investimento fatto, Caprelli ricorda come il publisher inglese comunicò di non essere interessato al loro progetto successivo. Bruno Boz ricorda anche come il dialogo con Core Design, dopo il rilascio del gioco, fu a dir poco frammentario e, anche se il contratto prevedeva delle provvigioni di vendita, Dynabyte non vide mai un centesimo dopo il primo pagamento. “Pensammo di rivolgerci ai nostri avvocati, ma avremmo rischiato di rimetterci più soldi di quanti ne avremmo recuperati”.
Nonostante si tratti di un titolo sicuramente migliore del suo predecessore, la stampa non sembrò completamente apprezzare il salto di qualità; d’altronde, erano passati anche tre anni da Nippon Safes e, nel frattempo, diverse altre avventure italiane avevano visto la luce. The Games Machine lo valutò 87 su 100, giudicando il lavoro del team di sviluppo “quasi alla pari con Lucasarts e Sierra per la qualità delle loro avventure”.
The Big Red Adventure, forse, non è riuscita a rendere Dynabyte un nome famoso in tutta Europa, ma, d’altra parte, è ancora ricordata con affetto da molti giocatori e rimane, tuttora, uno dei giochi d’avventura più famosi sviluppati nel Belpaese. Come anticipato, nelle ultime settimane di completamento dell’avventura, Dynabyte aveva già iniziato a lavorare a un altro progetto. Fu proprio quello che Core Design giudicò come troppo infantile: nel 1995 l’era della PlayStation era già cominciata e, improvvisamente, tutto era diventato adulto e maturo. “Se un titolo non era in 3D, praticamente loro non erano interessati a priori” ricorda Caprelli.
Tequila fa Boom-boom: gli ultimi anni di Dynabyte
Il progetto post-TBRA sarà un’altra avventura punta e clicca, sviluppata con lo stesso motore parallACTION e una grafica cartoonistica in stile Disney, ma con un’interfaccia semplificata. Nonostante Tequila & Boom-Boom possa sembrare a tutti gli effetti un cartone animato, Costabel racconta che ha tratto ispirazione dai classici di Sergio Leone e avrebbe voluto rendere l’avventura squisitamente western.
Caprelli racconta come l’obiettivo fosse, in realtà, quello di realizzare una versione animata di un film di Bud Spencer e Terence Hill, da cui deriva anche l’aspetto dei due protagonisti principali. Giorgio Sommariva ricorda di aver lavorato per alcune settimane all’avventura prima di lasciare Dynabyte, anche se non è stato menzionato nei titoli di coda del prodotto finito. Per la maggior parte, la grafica è stata realizzata a mano da Alessandro Barbucci (occupatosi anche del character design) e poi scansionata, in modo del tutto simile a come avrebbe fatto, di lì a poco, la Lucasarts con La maledizione di Monkey Island.
Alberto Boz ricorda alcuni problemi con lo sviluppo: “Facemmo la malaugarata scelta (forse inedita per l’epoca) di sviluppare con i driver Vesa per poter accedere a risoluzioni video che all’epoca nessuno utlizzava. Il problema è che, ai tempi del DOS, lo “standard” vesa era tutto fuorchè uno standard: questo significava scrivere codice ottimizzato quasi per ogni modello di scheda video in commercio. Impossibile.”
Paolo Costabel la ritiene tuttora uno dei migliori titoli che Dynabyte abbia mai prodotto, ma stranamente, si tratterà della loro avventura meno conosciuta, perfino in Italia. Di nuovo, la responsabilità ricade sui problemi di distribuzione: Caprelli ricorda, infatti, come Dynabyte avesse chiuso un contratto con Sacis. L’azienda Società per Azioni Commerciale Iniziative Spettacolo (poi confluita in Rai Trade), nata nel 1955 e all’epoca proprietà della RAI, aveva iniziato a interessarsi del mercato videoludico a metà anni 90 distribuendo, tra gli altri, anche titoli di Ubi Soft come Rayman.
Sfortunatamente, Sacis si rivelò una scelta del tutto sbagliata: a quanto pare, la società non aveva una reale conoscenza del mercato dei videogiochi. Caprelli continua dicendo che è abbastanza sicuro che la Dynabyte Software conoscesse il mercato meglio dello stesso publisher. Bruno Boz ricorda che Sacis sembrava esser molto sicura del successo dell’avventura grafica, arrivando addirittura ad affittare un sontuoso locale (la Chiesa della SS. Annunziata) a Ravello per annunciare il titolo alla stampa, con tanto di ricevimento e rinfresco. Non che questo debba sorprendere granché, dal momento che non stavano certamente utilizzando fondi propri.
Nonostante la montagna di soldi investiti da Sacis per la presentazione, con l’avvicinarsi della data di uscita, a quanto pare, scomparvero nel nulla. “Ancora non so esattamente cosa sia successo, forse l’ascesa di Silvio Berlusconi al governo li ha colti alla sprovvista?” si chiede Boz. “Per quasi quattro mesi non ho più avuto notizie né tantomeno i pattuiti soldi mensili. Eravamo disperatamente a corto di fondi per continuare con lo sviluppo e pagare i nostri collaboratori”.
In quel momento di crisi, sarà proprio Sacis la causa delle discussioni che porteranno la società allo scioglimento. Mentre Bruno Boz voleva staccarsi dal publisher romano, onde pubblicare il titolo per conto proprio, il team di Costabel e Caprelli avrebbe voluto invece continuare con l’accordo. Tequila & Boom-Boom riuscì miracolosamente ad essere pubblicato in Italia – a fine 1996 – riscontrando vendite molto ridotte, finendo per essere l’ultimo titolo effettivamente sviluppato da Dynabyte. A quanto pare la seconda ristampa del titolo avenne solo diversi mesi dopo la prima, ricorda Boz, quando l’attenzione del pubblico era ormai scemata.
L’originale accordo con il publisher romano avrebbe dovuto includere altri due titoli che la software house stava sviluppando, parallelamente a Tequila, ma – come vedremo – questi non arriveranno mai a essere completati.
Insieme allo sviluppo di Tequila & Boom Boom, Sommariva ricorda che il team stesse lavorando anche a Blood & Lace, un progetto dai toni radicalmente diversi dalle solite avventure Dynabyte. L’idea originale era di Marco Caprelli, questi aveva pensato alla contessa Barbara Cagliostro, figlia dell’omonimo conte (definita da Boz come “un Dylan Dog al femminile”), come protagonista, così da continuare il suo progetto di arricchimento della selezione dei protagonisti dei videogiochi con nuovi volti femminili.
Sviluppato originalmente per essere un’altra avventura in 2D con grafica disegnata a mano, le prime idee lo vedono caratterizzato da una giocabilità in stile Dragon’s Lair (con eventi quicktime), con l’ausilio di un’ennesima versione migliorata del motore di Tequila & Boom Boom. Caprelli aveva pensato a una storia horror-gotica originale, ambientata tra Parigi e l’Italia con l’inserimento di diverse locazioni liguri.
Di seguito, un video preview che mostra il titolo negli ultimi tempi in cui il team principale della Dynabyte Software ci stava lavorando, riportando difatti sia il logo Ludomedia e menzionando, nei titoli di coda, Caprelli e Costabel.
Insieme a Blood & Lace, l’altro progetto originalmente pianificato come parte del contratto di distribuzione con Sacis era Roma, un’avventura in prima persona con enigmi in stile Myst ambientata, ovviamente, nell’antica Roma che, ricorda Boz, non superò mai la fase di pianificazione.
Blood & Lace: la Dynabyte Software continua con Giunti Editore
Nel 1996, Dynabyte cominciò anche a lavorare alla conversione per Amiga di The Big Red Adventure, su richiesta della Power Computing, un’azienda tedesca che – ricorda Bruno Boz – vendeva giochi per corrispondenza, nonostante il famoso home computer fosse ormai al canto del cigno. Sembra che, le conversioni per A1200 e CD32 fossero, in realtà, parte integrante dell’accordo iniziale di pubblicazione con Core Design, ma vennero abbandonate quasi subito dal momento che il mercato andava riducendosi rapidamente.
Come anticipato, con la società che versava in gravi difficoltà economiche a causa dei vari problemi con lo sviluppo dell’ultima avventura grafica, le discussioni tra Bruno Boz e il resto del team alla fine portarono a una svolta nella storia della Dynabyte Software: Costabel e Caprelli da una parte e l’ormai ex presidente dall’altra.
Dopo l’uscita di Tequila & Boom Boom, Caprelli ricorda che i superstiti stessero continuando lo sviluppo di Blood & Lace, ma non fu un lavoro che durò a lungo. In quel periodo, la Dynabyte Software sviluppa alcuni software di genere non squisitamente videoludico, come un’avventura sulla vita di Eugenio Montale con grafica in prima persona sviluppato da Mario Ricco, Marco Caprelli e Mauro Rogledi dove si possono sbloccare brani inediti di Paolo conte ispirati dalle poesie dell’autore. In seguito, con Costabel che aveva ricevuto un’offerta per lavorare al film di Final Fantasy con Squaresoft, mentre Riccardo Scarsi e Alessandro Belli avevano già manifestato l’intenzione di lasciare l’azienda. Alla fine, Caprelli si ritrovò praticamente da solo in ufficio.
Non aveva intenzione di continuare a illudersi fingendo che l’azienda esistesse ancora – racconta – così Ludomedia/Dynabyte cessò definitivamente la sua attività nel 1996, probabilmente durante gli stessi mesi estivi (cfr. infra). Il logo della Dynabyte fu assorbito dalla società multimediale di Bruno Boz, la Virtual Edge, ma non c’era nessuno del team originale dietro. Come azienda, ricorda Bruno, Virtual Edge riuscì a rimanere a galla per alcuni anni, rilasciando titoli minori, per riviste di giochi e prodotti educativi. La Dynabyte Software chiude definitivamente i battenti nel 2000.
Anche senza un team di sviluppo, Caprelli non voleva comunque rinunciare all’idea di Blood & Lace, che, per il designer, era importante anche dal punto di vista strettamente sentimentale. Nel periodo successivo alla dipartita dalla Dynabyte Software, Caprelli, insieme ad alcuni programmatori, riprese in mano l’avventura grafica ripensandola come un prodotto 2.5D con personaggi bidimensionali, disegnati a mano. Questi si muovevano in un ambiente pseudo tridimensionale, assimilabile a un simil-Wolfenstein 3D con movimento libero nelle quattro direzioni, ma senza roteazione della visuale. Su alcuni dei modelli 3D di quel progetto, a quanto pare, collaborò anche Giorgio Sommariva prima di passare a Wayward XS.
In seguito, Caprelli viene contattato da Giunti Editore, intenzionata a creare un proprio team di sviluppo interno, con il compito di produrre titoli e giochi multimediali. La rielaborata versione di Blood & Lace sarà la primissima proposta portata all’editore che approverà il progetto. Caprelli, così, assume diversi grafici e programmatori con lo scopo di portare a termine lo sviluppo dell’avventura della contessa Cagliostro.
Quel progetto, però, non avrà comunque vita lunga. Sarà, infatti, Dario Pelella (ex-Trecision) a suggerire di trasformare Blood & Lace in un titolo con visuale in terza persona e motore grafico full-3D, considerando come, nonostante vari sforzi, la versione 2.5D non sembrasse funzionare. Caprelli mi dice che l’ispirazione per il progetto finale è stata, a quanto pare, Tomb Raider, anche se il gameplay sembrerebbe, più che altro, avvicinarsi a uno delle diverse imitazioni di Resident Evil uscite nei primi anni 2000.
Lo sviluppo della terza versione di Blood & Lace finì per richiedere due anni interi, con il Giunti Multimedia Entertainment Team impegnato a far ripartire il progetto da zero, mantenendo solo la storia originale dell’avventura degli ultimi tempi di Dynabyte. Lo stesso motore grafico verrà utilizzato anche per il progetto, sviluppato in parallelo, Zero Comico, il titolo con i comici Aldo, Giovanni e Giacomo.
A proposito del lungo sviluppo, Caprelli racconta come il team fosse continuamente distratto dalle varie richieste di Giunti e doveva destreggiarsi fra i troppi progetti su cui era chiamato a intervenire, non avendo mai il tempo di dedicarsi a rifinire un singolo titolo. Inoltre, non avendo gran esperienza in materia di direzione di un team, Caprelli conclude che avrebbero avuto davvero bisogno di una gestione più attenta. Giunti sembrava a proprio agio nel lasciare che la squadra si gestisse in autonomia, lasciandoli lavorare sui vari progetti in solitaria, senza preoccuparsi di controllare quello che stessero effettivamente facendo.
Quando Blood & Lace, finalmente, arrivò nei negozi, Marco aveva già lasciato Giunti Editore e la parentesi multimediale venne chiusa in fretta dalla casa editrice. Il team si disgregherà poco dopo l’uscita dei due prodotti, a causa di pesanti incomprensioni tra le intenzioni di Giunti e quanto, poi, comunicato agli sviluppatori. Blood & Lace, probabilmente anche perché pubblicato da un editore più abituato a vendere libri che videogiochi, finì col vendere un ridotto numero di copie.
Addendum: The Killing Tool
Parlando con Marco Caprelli, tra i suoi ricordi legati a la Dynabyte Software, viene menzionato un progetto mai andato oltre lo stato di pianificazione che riutilizzava la caratteristica del gameplay su due piani diversi, vista in Tube Warriors. Il prototipo era pensato per essere un action platform in salsa cyberpunk. Marco ricorda l’aver contattato l’artista genovese Alessandro Taini (Talexi), conosciuto tramite Alessandro Barbucci (character designer per Tequila & Boom-Boom e in seguito creatore delle W.I.T.C.H.), per elaborare il concept di un gioco 3d che avesse un’ambientazione fantascientifica originale.
Taini, incuriosito dal progetto, inizia a lavorare produrre degli schizzi e idee di design, insieme all’amico e artista ligure Bjorn Giordano che ricorda: “Di concerto con la Dynabyte Software producemmo un portfolio che fu inviato alla Sony Playstation di Londra per valutare il loro eventuale interesse. Era l’estate del 1996.”
Rientrando dalle ferie estive, Giordano e Taini scoprirono con non poca sorpresa che, nel frattempo, la Dynabyte Software aveva chiuso i battenti: “abbiamo assistito inconsapevoli al loro canto del cigno” commenta Giordano. I due, però, non si persero d’animo e, dopo aver fatto i bagagli, andarono a bussare direttamente alla porta di Sony a Londra per sapere quale sorte fosse toccata al loro progetto. Giordano ricorda che, per quanto sia curioso pensarci ora, riuscì in pochi minuti a farsi ricevere da Martin Alltime, all’epoca produttore per Sony EU.
“Fu un colloquio strano, visto che quando spiegai ad Alltime il motivo della mia vista, sgranó gli occhi e disse che avevano approvato il progetto e, da settimane, stavano cercando di capire dove fosse sparito il team!“. La Dynabyte Software, insomma, sembrava aver perso per l’ennesima volta una ghiotta occasione.
Con l’approvazione di Sony e un finanziamento per realizzare un demo per The Killing Tool, Giordano e Taini passano un periodo a Londra per cercare qualcuno che potesse lavorare al motore 3D. “Abbiamo fatto il giro di tutti gli studi di Londra, tra cui anche Psygnosis. Purtroppo erano tutti talmente indaffarati che non sapevano che farsene del nostro progetto, pur apprezzandone la creatività. Infine, ebbi anche il numero del presidente della Sony Italia che mi rispose che non avrebbero saputo neanche da che parte iniziare per lo sviluppo. Così alla fine, pur avendo con noi un progetto approvato e una demo già finanziata, non se ne fece nulla.”
Il lato positivo della vicenda è, come racconta Talexi, che questo breve contatto convinse poi lo stesso Alessandro Taini a entrare nell’industria videoludica: è stato, infatti, direttore artistico per diversi lavori della software house Ninja Theory, da Heavenly Sword a Enslaved: Odyssey to the West.
Post Dynabyte: dove sono ora?
Christian Cantamessa, dopo diverse vicissitudini, è sbarcato per un breve periodo a Trecision per poi volare a Ubi Soft e infine a Rockstar, dove è stato lead designer per Manhunt e Red Dead Redemption.
Marco Caprelli, dopo aver lasciato la Giunti Multmedia, è diventato Brand Manager per Ubisoft occupandosi di Assassin’s Creed, Splinter Cell e Rainbow Six. Al momento, si occupa di e-sports per Progaming Italia.
Paolo Costabel, dopo aver lavorato a Hollow Man e Final Fantasy come direttore tecnico, è al momento impiegato presso la Sony a Santa Monica dove lavora alla serie God of War.
Massimo Magnasciutti lavora ancora come grafico ed è appassionato di varie teorie complottiste. Tra i suoi progetti, si è particolarmente raccomandato affinché menzionassi le sue mappe di Soldier of fortune 2, quindi eccole: Prisoner in Portmeirion e Zena on My Mind.
Giorgio Sommariva dopo aver lavorato per un breve periodo per la software house di Savona WaywardXS, ha lasciato il mondo dei videogiochi e ora lavora nel settore dell’IT.
Alberto Boz ha lasciato il mondo dei videogiochi dopo Dynabyte e lavora nel settore IT.
Bruno Boz è felicemente in pensione, conserva tutti i bozzetti artistici di Tequila & Boom Boom a casa sua e, di tanto in tanto, li guarda con nostalgia, pensando ai bei tempi passati in Dynabyte.
Alessandro Taini, chiusa la parentesi con Ninja Theory, lavora come art director alla serie TV Star Trek Prodigy per la Nickelodeon.
Bjorn Giordano lavora come artista e disegnatore, potete trovare i suoi progetti sulla pagina FB.
Fonti & Riferimenti
Interviste condotte via Skype, telefono ed e-mail dal sottoscritto tra settembre 2020 e maggio 2021 a Massimo Magnasciutti, Marco Caprelli, Alberto Boz, Bruno Boz, Paolo Costabel, Giorgio Sommariva, Christian Cantamessa, Bjorn Giordano, Alessandro Taini, Dario Pelella e Simone Crosignani.
The Games Machine n.73
K n.28
C+VG n.9, 15
Ringraziamenti a tutte le persone intervistate per il tempo dedicato al mio articolo, in particolare a Marco Caprelli e Christian Cantamessa per i materiali reperiti e la disponibilità, nonché a Bjorn Giordano e Alessandro Taini per l’inedito materiale di The Killing Tool. Un ringraziamento speciale a Bruno Boz per aver gentilmente fornito una copia di Nippon Safes Inc.
Grazie per la visita.
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Ottimo articolo molto più completo della precedente versione inglese. Il Genesis Temple si dimostra una fonte inestimabile per la preservazione della storia dei videogiochi. Grazie
il “logo con l’accendino” non è un candelotto di dinamite?
http://hol.abime.net/hol_search.php?N_ref_developer=418
Sicuramente, ma quella frase viene anch’essa da un’intervista quindi per carità, lungi da me correggere gli sviluppatori.
Complimenti, articolo molto interessante e lode al merito per la ricostruzione storica. Attenzione però: The Big Red Adventure al momento non è supportata da ScummVM.
Al momento parzialmente supportato. Direi che è un errore passabile in attesa di tempi migliori.
Grazie.