Dalle umili origini come minuscola azienda di quattro persone, raccontati nella prima parte, nella storia di Simulmondo parte II vedremo come distanti avvisaglie e malumori peggioreranno presto la situazione. Francesco Carlà era riuscito a trasformarsi da giornalista in imprenditore, combinando talento e capacità gestionali con risultati sorprendenti e Simulmondo godette di una crescita esponenziale in pochi anni, così da arrivare a rivaleggiare, come organizzazione e numero di personale, perfino con un colosso come Electronic Arts. Dal 1992 in poi, a causa dell’ostinazione nel perseguire lo sviluppo di “fumetti interattivi” dedicati alle edicole, la società sembrava iniziare a perdere la bussola, avendo concentrate tutte le proprie risorse nella crescente attività di sviluppo di titoli periodici.
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1993: i "serial" killer
L’alba del nuovo anno, il 1993, trova la software house bolognese piegata su se stessa a lavorare sui titoli da edicola con una qualità sempre più scadente. Le diverse persone impegnate, in quel periodo, alla software house riportano idee piuttosto diverse tra loro: alcuni di loro son ancora piuttosto alterati per quanto accaduto, altri ritengono che sia passato sufficiente tempo da considerarlo un capitolo chiuso. Ci sono un paio di punti, però, su cui tutti sembrano pienamente concordare, il primo è che il passaggio ai fumetti interattivi in edicola fu l’inizio della fine per Simulmondo.
Su cosa si sarebbe dovuto fare invece, vengono presentate molteplici teorie: il grafico e programmatore Riccardo Cangini menziona che chiudere la divisione “sportiva” fu un errore fatale, mentre Venturi ritiene che Simulmondo avrebbe dovuto spingere maggiormente sull’esportazione dei propri titoli. La software house aveva stipulato degli accordi con alcuni publisher esteri per i loro precedenti titoli, Carlà ne ricorda diversi come Ubisoft per la Francia, a cui, però, sembrò mancare una spinta di marketing decisa. D’altronde, nel 1993 con l’intera forza lavoro Simulmondo esclusivamente dedicata ai giochi episodici, sembrava che tutti i precedenti successi dell’azienda fossero stati cancellati dalla faccia della terra. Nel disperato tentativo di finire i numeri mensili degli episodi in tempo, la qualità dei giochi andava lentamente declinando.
Ciro Bertinelli ricorda che mentre prima era solito mostrare con un certo orgoglio agli amici i giochi su cui aveva lavorato, nel 1993 iniziò a nascondere il suo coinvolgimento, considerando come il pubblico iniziasse a mostrare evidenti segni di stanchezza nei confronti di titoli fin troppo somiglianti tra di loro. Cangini ricorda anche che i rapporti in ufficio diventarono sempre più tesi, con i responsabili della produzione che si ritrovavano spesso a dover rimproverare duramente i colleghi.
Nell’arco di due anni, tra il 1993 e il 1994, la software house pubblicò un numero sorprendente di fumetti interattivi: 13 episodi di Tex Willer, 12 di Diabolik e 17 di Dylan Dog. Siccome ciascun titolo doveva essere compatibile sia per PC che Amiga, questo naturalmente comportava lavoro doppio per programmatori e tester. Per rispettare rigorosamente la severa tabella di marcia mensile, la creatività e sperimentazione in diversi generi che avevano reso Simulmondo una realtà tanto apprezzata, svanirono nel nulla. Il direttore della produzione Ivan Venturi ne parla come una trasformazione fatale: “Quelli che lavoravano in Simulmondo avevano poco più di vent’anni ed erano affascinati dall’idea che lo sviluppatore di Sim City avesse guadagnato un miliardo; per questo ad alcuni di loro l’idea di lavorare serialmente suonava poco creativa. A loro sembrava di lavorare in fabbrica.”
Mario Bruscella ricorda le difficoltà legate al lavoro nell’azienda bolognese: “Per me lavorare a distanza era diventato sempre più costoso e con quanto guadagnavo a Simulmondo, facevo fatica perfino a pagare un affitto a Bologna, tanto meno a coprire le altre spese. All’epoca chi voleva fare il programmatore era davvero un eroe, s’imparava tutto da soli o con minime indicazioni che prendevamo sui listati di qualche rivista!”
Il programmatore Ciro Bertinelli ricorda poi, quando un bug critico nell’episodio 5 di Dylan Dog rendeva impossibile completarlo, su di loro si riversarono le chiamate di tanti giovani clienti contrariati. Ciro ricorda che al team fu indicato di rispondere a chi si lamentava: “Il gioco non può essere completato perché troppo difficile, v’invieremo la versione più semplice.” Naturalmente, per “più semplice” s’intendeva la versione emendata dal bug: mai Simulmondo si era abbassata a un livello così basso nei rapporti con la clientela.
Nel mese di marzo 1993, debuttò in edicola un’altra serie episodica, Simulman: stavolta non si trattava di una licenza, bensì di un personaggio ispirato alle sembianze di Venturi (e Jim Morrison!) la cui serie di avventure si svolgeva proprio nel 2021. Oltre all’ambientazione futurista, la serie vantava personaggi particolarmente ispirati come “Il sistema operativo negativo SS-DOS”. Per Carlà non sarebbe certarmente finita lì, erano in programma ancora altre nuove serie episodiche per i mesi a venire.
Bertinelli continua dicendo che, ormai, l’azienda aveva smesso d’investire in ricerca e sviluppo. Tutte le risorse a disposizione, umane ed economiche, erano concentrate sul fronte dell’edicola: una scelta che non tarderà a portare conseguenze irrimediabilmente negative. Su un altro punto, la maggior parte degli ex sviluppatori di Simulmondo sembra essere d’accordo: il direttore Francesco Carlà era un imprenditore in gamba e con idee lungimiranti, ma non sembrava avere altrettanto talento nella gestione delle risorse umane.
Gianluca Gaiba ricorda come, nel 1993, i diversi ruoli di produzione fossero finiti per saltare del tutto. Nonostante il suo ruolo da un musicista, si ritrovava contemporaneamente a occuparsi anche del testing dei titoli e sceneggiature. Il team di programmatori era cresciuto numericamente, nei mesi, fino a comprendere più di una ventina di persone, ma i progetti erano troppi per poterli gestire in maniera ordinata. Era necessario occuparsi di tutto, non ci sarebbe stato modo di rispettare le scadenze altrimenti. Dopo mesi di lavoro durissimo, Gaiba menzionò a Carlà il pensiero di voler abbandonare l’azienda, ricevendo come risposta atteggiamenti di quasi totale indifferenza. “Mi sembrò come se me ne fossi potuto andare in qualsiasi momento, quasi ci fossero tre persone pronte a prendere il mio posto” ricorda. Gaiba lascia l’azienda poco dopo l’inizio dell’anno.
Gianluca continua: “Penso che nel 1993 avremmo dovuto lavorare sulle nuove tecnologie, sul 3D, non rimanere bloccati a oltranza su Diabolik e Dylan Dog“. Ciro commenta: “mentre il mondo dei videogiochi veniva completamente stravolto da Doom, noi cercavamo disperatamente di fare le nozze coi fichi secchi“. L’addetto alle pubbliche relazioni e tester Federico Croci, tuttavia, ammette che questi problemi non arrivavano negli uffici amministrativi sottostanti, dove la vita, fondamentalmente, continuava indisturbata. Croci lasciò l’azienda in seguito ma, mi racconta, i rapporti con la dirigenza rimasero sostanzialmente amichevoli: semplicemente ricevette un’offerta migliore per un lavoro nel mondo dei giochi arcade.
Con un giro di affari collegato ai fumetti interattivi ancora piuttosto solido, probabilmente nessun’azienda avrebbe razionalmente deciso di cambiare strada. Un libero imprenditore poteva sicuramente ritenere di guadagnare quanto più possibile da una congiuntura economica favorevole come questa, ma era necessario anche fare i conti con l’evoluzione del mercato. L’azienda aveva sostanzialmente smesso d’investire nel futuro.
Cangini ricorda che, sebbene fosse vero che Simulmondo continuava a crescere nel 1993, si trattava comunque di numeri non così significativi da giustificare l’ostinazione di Carlà nel persegiure il mercato dei fumetti interattivi. “Quando sette-otto mesi dopo arrivano i risultati delle vendite in edicola, ci si rendeva conto di aver fatto tirature in numero eccessivo: avevamo venduto molto meno di quel che si pensava. Avendo anticipando soldi che non torneranno, rimanevano evidenti mancanze di denaro liquido per affrontare le spese vive. La saturazione del mercato edicola fu pensata anche per evitare che arrivassero altri concorrenti ad accapparrarsi quel pubblico, ma finì per ritorcersi contro Simulmondo.”
“Oltretutto, il business delle edicole non poteva essere replicato in nessun’altra parte del mondo, era qualcosa di tipicamente italiano” osserva Venturi. È vero che nel Belpaese eravamo abituati a comprare giochi in questo modo – specialmente a causa della pirateria dilagante nel mercato – ma eravamo tra i pochissimi a farlo in Europa.
Aprile 1993: 48 ore all'alba
Nel mese di aprile 1993, la squadra riuscì a concludere lo sviluppo di 38 episodi in due mesi, una richiesta che era stata avanzata dallo stesso direttore dell’azienda nel corso di una riunione piuttosto animata. Un’impresa quasi impossibile che i dipendenti riuscirono a portare a termine solo lavorando su turni di dodici ore al giorno, tutti i giorni della settimana. E di nuovo, nessuno di questi straordinari venne pagato. L’insoddisfazione montava incontrollata nel team.
La battaglia con l’edicola era vinta, ma la guerra del mercato era persa.
Difatti, il mese successivo altri collaboratori decisero di lasciare l’azienda. Tra di loro Ciro Bertinelli (responsabile del settore grafico), Stefano Balzani (responsabile della programmazione) e Cristian Bazzanini (responsabile dello storyboard). Si trattava di persone che avevano lavorato ai migliori titoli Simulmondo, tra i principali contributori al suo successo, ormai stufe di essere costrette a lavorare su orari impossibili senza riconoscimenti di alcun tipo. Il nucleo pulsante del team di sviluppo era arrabbiato, scoraggiato e fondamentalmente distrutto.
Il primo a ricevere la notizia fu proprio Ivan Venturi, ormai abituato al delicato ruolo di negoziatore tra il malcontento del team di sviluppo e gli ordini e desiderata della direzione, impegnato, allo stesso tempo, nell’assicurare che tutte le scadenze fossero rispettate. Aveva appena ventidue anni. Nel giro di pochi anni le cose erano cambiate del tutto: Ivan era diventato il creativo contro le crescenti pretese imprenditoriali di Francesco Carlà.
Non appena Ivan vide le facce plumbee dei suoi colleghi e amici, capì all’istante che anche i suoi giorni in Simulmondo sarebbero presto giunti al termine. Dopo aver appreso la notizia, lo stesso Carlà reagì in maniera piuttosto negativa mentre tutti gli altri stentavano persino a crederci. Erano sicuri che, come si suol dire, il direttore di produzione sarebbe affondato insieme alla nave. Ivan era una delle colonne portanti dell’azienda, fisso fin dal primo giorno, dedicando tutto se stesso affinché Simulmondo rimanesse leader indiscussa del mercato.
“Avevo cominciato a 15 anni a lavorare a certi ritmi e certi livelli, praticamente ero cresciuto con l’ombra costante dello stress da scadenza, dell’insuccesso, del timore di non farcela. Conoscevo perfettamente quella sensazione di amaro unita a una perenne contrazione alla bocca dello stomaco, dovuta alla paura di non farcela. Era tutto finito.
Vedevo i prodotti che si stavano chiudendo e sarebbero andati in edicola nei mesi successivi, in essi già alcune parti non dipendevano più da me: per motivi pratici non aveva senso che li seguissi io. Smisi di ‘soffrire’ nel vedere le ultime (scarse) produzioni edicola.”
Non era più la sua azienda, forse – realizzava adesso – non lo era mai stata.
Tre mesi dopo se n’andò definitivamente.
Michele Sanguinetti commenta: “Carlà aveva un bel gruppo in cui avrebbe dovuto spendere di più, invece di concentrarsi solo sulle vendite e sul giro di affari dell’edicola. Con tutti quei ragazzi promettenti a disposizione, sarebbe bastato investire sulla loro crescita professionale per avere un team vincente”. “Ciò che mi fa più rabbia” conclude amaramente Venturi “è che la maggior parte delle persone coinvolte erano grandi talenti che sarebbero stati fondamentali per l’industria videoludica italiana. Invece di coltivarli, venirono solamente spremuti al midollo e molte di quelle persone finirono, comprensibilmente, col non voler mai più toccare un videogioco”.
Francesco Carlà sarà condannato, nel febbraio del 1996, dal tribunale di Bologna a risarcire Ivan Venturi e Michele Sanguinetti delle ore di straordinario non corrisposte.
La vita dopo l'esplosione
Dopo l’abbandono di Venturi e diversi altri collaboratori, lo sviluppo della maggior parte dei prodotti dell’azienda passa nelle mani di Riccardo Cangini. Questi ricorda come nel momento in cui si dovette rimpiazzare molti talenti perduti, arrivarono persone meno motivate a cui il team “core” doveva badare per rimediare a eventuali errori. Nell’estate ’93, Cangini continua lo sviluppo di quello che – secondo alcuni – sarà l’ultimo “vero” titolo di Simulmondo, Time Runners, anch’esso un fumetto interattivo a episodi. L’idea originale e la sceneggiatura furono originariamente di Ivan Venturi, il quale, dopo aver annunciato di voler lasciare la compagnia, aveva ridimensionato il proprio coinvolgimento negli altri progetti.
Grazie a un accordo di distribuzione con Fabbri Editore, Time Runners è stato tradotto in sei lingue diverse e venduto anche nelle edicole spagnole (così nota Carlà sul numero 133 di MC Microcomputer), riuscendo a vendere ben 200.000 copie in una sola settimana. Questo secondo il direttore, Cangini commenta – invece – che si trattava di una cifra inferiore: ancora una volta, era un numero da cui dovevano essere poi sottratti i resi e la merce invenduta. Time Runners, nonostante l’evidente saturazione del mercato, fu completato con l’uscita dei trenta episodi previsti; anche il programmatore menziona di essersi opposto al numero eccessivo di questi.
L’ultima serie a episodi, Spiderman, fu protagonista di un incidente curioso: racconta Federico Croci che Carlà non si era reso conto che la licenza dell’Uomo Ragno fosse stata concessa solo per un anno. Fu solo durante l’estate del ‘93, che il patron di Simulmondo improvvisamente finì con accorgersi che la concessione da Star comics, valida per dodici mesi, era già in corso da gennaio e sarebbe scaduta quindi a dicembre. Croci ricorda il caos che ne conseguì quando Carlà entrò nell’ufficio urlando per spronare il team nel tentativo di far uscire i giochi nel più breve tempo possibile.
Il miracolo era già avvenuto qualche mese fa e il team non era più quello di prima: la serie di Spiderman sarebbe durata solo tre episodi. Nel numero di Settembre 93 di MC Microcomputer Carlà scrisse che Simulmondo stava sviluppando anche una serie sugli X-Men e Wolverine ma quelle, a quanto pare, non si sono mai concretizzate. Sorte anche peggiore toccò a Martin Mystère – annunciato come “accordo concluso” (numero 130 di MC Microcomputer) – che, come ricorda Cangini, non fu considerato attività redditizia dai publisher e lo sviluppo non venne mai nemmeno iniziato.
Nel medesimo numero di MC Microcomputer, Carlà annuncia una drastica riduzione dei prezzi su tutte le avventure di Simulmondo, cercando di ravvivare l’umore plumbeo dei giocatori annunciando notizie entusiasmanti per la linea dei fumetti interattivi come “una schermata di caricamento/salvataggio come quella di Alone in the Dark” e “il tanto richiesto PC speaker sound” (MC Microcomputer n.132).
Nel breve corso di un anno, Simulmondo sembrava aver dilapidato quella base di fiducia costruita in anni di rapporto col pubblico e critica: il mercato era cambiato radicalmente, i giochi per PC stavano diventando più complessi e l’azienda, dopo aver perso molti tra grafici e programmatori, non era in grado di stare al passo con la tecnologia. Simulmondo finì per essere schiacchiata dall’eccessiva fiducia verso quella nicchia di mercato che aveva contribuito a creare e dalla saturazione dell’edicola stessa.
Nonostante il continuo coinvolgimento di Carlà con la rivista, i riferimenti alla sua azienda su MC Microcomputer diventarono sempre più sporadici. Uno degli ultimi annunci lo farà nel numero di dicembre 1994, dove si parla di un’ “uscita a breve” per Simulmondo Soccer: “un lavoro che dura da 18 mesi e che è stato pensato per colmare tutte le lacune nel genere calcio su PC”. Alcuni mesi dopo, il titolo verrà menzionato nuovamente con l’aggiunta di un singolo screenshot (v.sopra). Probabilmente si tratta di riferimenti a Soccer Champ, che finirà per vedere la luce quasi quattro anni dopo.
Massimiliano Calamai, grafico, lasciò l’azienda nel 1994 stanco della ripetitività legata all’attività sui giochi da edicola, commenta:
“Mi sono accorto solo dopo di quanto Simulmondo fosse una forza sul mercato. Mi ricordo ancora il momento, all’ECTS di Londra nel 94, mentre iniziavo ad accarezzare l’idea di creare la mia software house (Lightshock NdR), mi resi conto di quanto fosse ben organizzata e strutturata Simulmondo per una realtà italiana. Quasi più dei grandi colossi dell’epoca! Oltre al mio affetto personale, oggettivamente era un’azienda con enormi potenzialità. Mi è dispiaciuto vederla spegnersi.”
Tra il 1994 e 1995, con le console Sony and Nintendo che – lentamente – si stavano appropriando del mercato precedentemente di Amiga e PC, l’azienda sembra sospesa nel tempo. Carlà non sembra aver realizzato pienamente il potenziale di questo nuovo segmento del mercato, nonostante, ricorda Cangini, non si oppose mai all’idea di sviluppare titoli per console.
Croci ricorda quando il distributore C.T.O. offrì al patron di Simulmondo il kit di sviluppo per PlayStation, che rifiutò. Oltre al costo elevato, non si pensava potesse venirne fuori niente di utile per l’azienda. In una recente intervista del 2015 Carlà dichiarò di non avuto voluto sviluppare giochi per console perché “[…] andavano contro la libertà produttiva
dell’impresa.[…] A me non andavano queste costrizioni produttive e non volevo produrre uno, due titoli l’anno con il budget delle console.”
Simulmondo 94-95: Fruitjoy, Solletico e Mosè
Nel 1994, l’azienda viene contattata dalla Rai per sviluppare alcuni giochi interattivi da abbinare a un programma per ragazzi che l’emittente stava sviluppando in quel periodo. Lo show si chiamerà Solletico, entrato a far parte nello stesso anno del palinsesto pomeridiano di Rai 1, verrà inizialmente condotto da Mauro Serio ed Elisabetta Ferracini e fungerà come ibrido tra contenitore e show di puro intrattenimento. Simulmondo viene incaricata di sviluppare i prodotti interattivi che permettono ai giovani spettatori d’interagire da casa tramite collegamento telefonico. Tra i diversi, Pinguino Joe, di genere platform, dove la tastiera del telefono era usato a mò di controller con cui comandare il personaggio.
Simili titoli pure utilizzati da Solletico, come Joe Razz e Stellaris, sono stati erroneamente accreditati a Simulmondo dalla tesi di Francesco Cirica, ma in realtà non risultano esster stati sviluppati dalla software house bolognese. Di sicuro, una segnalazione ha confermato che Stellaris fu sviluppato, invece, da Softimage. Quelle erano esperienze che si avvicinavano più al cartone animato interattivo o a un’avventura grafica: le sequenze animate vengono interrotte da un indovinello o rompicapo, la cui soluzione spetta al giovane spettatore. In seguito, la software house bolognese sviluppa CalcioMio e BasketMio, titoli sportivi con multiplayer online, naturalmente non via internet ma attraverso il televisore, comandato dai giocatori attraverso la tastiera del telefono. CalcioMio permetteva multiplayer fino a otto giocatori in contemporanea, mentre BasketMio solo sfide uno contro uno; entrambi avevano grafica tridimensionale.
Nel 1995, al termine dell’esperienza Rai, Simulmondo sembra abbracciare definitivamente i prodotti per licenza, senza badare molto al contenuto. Mario Bruscella, che continuò a collaborare saltuariamente come programmatore freelancer fino alla metà degli anni 90, ricorda di esser dovuto intervenire a posteriori su un titolo legato alla Pritt di Henkel perché il programmatore originale non voleva più metterci le mani.
Tra gli altri prodotti sponsorizzati, c’è anche un platformer per MS-DOS legato alle caramelle FruitJoy. Mister Fruitjoy è un progetto che – per qualche motivo – Carlà ricorda ancora oggi, su Facebook, menzionandolo come “il primo videogioco legato a un prodotto pubblicitario”. Una dichiarazione curiosa, considerando l’esistenza di Cool Spot (1992) legato alla 7-up o esperienze ancora più antecedenti come Ford Simulator (1987) e il rarissimo Pepsi Invaders (1983) sviluppato dall’Atari sotto licenza della Coca-Cola.
Nello stesso anno, Carlà viene folgorato dall’idea di un gioco di avventura basato sulla Bibbia e, in particolare, sulla storia di Mosè. Parlando del progetto, sul numero di Marzo 1996 di Mc Microcomputer Carlà dichiara: “[…] Mi ero accorto che nessuno aveva ancora pensato a fare un’adventure interattiva che avesse come tema i personaggi più celebri della Bibbia. Esistono versioni bibliche cinematografiche di tutti i tempi e di tutti i budget, serial televisivi di grande successo, compreso il nuovo Mosè della Rai che ha fatto quasi nove milioni di spettatori, edizioni a fumetti e a cartoni animati, figurine e dischi: tutto, meno i videogiochi su Cd-Rom.”. Di nuovo, una dichiarazione che presta al fianco al fatto che nel 1992 la Interlight Productions avesse sviluppato diversi titoli basati su storie della cristianità, proprio nel genere delle avventure punta e clicca, per il Philips CD-I.
Mosè Il Profeta della Libertà, uscito proprio a marzo 1996, fu progettato come un ibrido di gioco educativo e avventura punta e clicca. Carlà elenca caratteristiche stupefacenti del “kolossal multimediale” come 150 locazioni differente per 70 ore di giocabilità, colonna sonora orchestrale e interpretazioni di attori italiani professionisti. Leggendo i ricordi romantici del giornalista legati a quel progetto, sembra davvero di esser di fronte a una versione interattiva del kolossal di Cecil B. DeMille: un’idea decisamente appropriata per l’originale giustapposizione di Simulmondo con il cinema anni 20.
Riccardo Cangini mi riporta velocemente su un piano più realistico:
“Fu un titolo programmato da Alberto Palladini, io ero uno dei pochi a lavorare sul progetto e ho cercato di fare quel che potevo per sistemare il design e farlo funzionare. La potenzialità c’era sicuramente, ma ricordo soprattutto gli enormi limiti tecnici, dovuti anche al lavorare con un budget piuttosto ridotto. Toolbook, il software su cui è stato sviluppato, poi è una vera e propria schifezza. Per finire il rendering della scena del passaggio del Mar Rosso ci ho messo una settimana!”.
Si trattava di software educativo arricchito da grafica renderizzata in 3D, un prodotto destinato a un pubblico giovane e uscito in collaborazione con le Edizioni Dehoniane. Una realizzazione anni luce distante dal lavoro su licenze importanti come quello legato a Millemiglia. Mosè esemplifica quella che era la strategia di Simulmondo a metà anni 90: allontanarsi lentamente dai videogiochi tout court, preferendo un prodotto multimediale a budget ridotto e con poche pretese, distante dalle produzioni altisonanti dei primi anni 90.
La fine dell'azienda
Per quel che resta del decennio, Simulmondo continua a perdere preziosi talenti e a trasformarsi in un ricordo sempre più sbiadito dell’importante azienda di pochi anni prima. Alla fine, anche la storica sede di Viale Berti Pichat fu abbandonata, ricorda Stefano Realdini, uno degli ultimi grafici rimasti dai tempi d’oro, in favore di un ufficio decisamente più piccolo.
Riccardo Cangini lasciò l’azienda nel 1996, per creare la sua propria software house, Artematica. Ricorda che non c’era più gran motivo di rimanere visto che il lavoro sui videogiochi si era sostanzialmente arenato; poi, con la nascita di suo figlio, aveva intenzione di lasciare Bologna e tornare in Liguria. Ciò nonostante, conclude, non ci furono mai grosse discussioni con Carlà e lasciò mantenendo rapporti amichevoli.
Soccer Champ fu l’ultimo gioco che la software house riuscì a completare e pubblicare, nel 1998, dopo mesi di duro lavoro e interminabili discussioni. Descritto come un “gioco di calcio con elementi rpg, di azione e di strategia”, rimandava a quell’idea simul-narrativa che animava I Play 3D Soccer. Riscontrò pochissimo successo. The Games Machine lo recensì con un 71% che – per l’epoca – era un pessimo segno, per poi scomparire sostanzialmente nel nulla. Mi è stato impossibile anche trovare uno screenshot per l’articolo.
Infine, nel 2000 Simulmondo cessa di esistere definitivamente, Carlà decide di lasciarsi alle spalle l’esperienza imprenditoriale e chiude la società. Stefano Realdini ricorda con amarezza gli ultimi anni dell’azienda:
Così tanta gente, così tanta passione, un pezzo della storia dei videogiochi in Italia, è morta nel silenzio più totale.
La storia delle glorie e miserie di Simulmondo può essere di gran utilità per tracciare una storia dell’industria videoludica in Italia.
In primis, è giusto dire, concordando con tutti i miei intervistati, che Simulmondo rappresentò un’occasione unica: una software house che aveva facilità nel raccogliere giovani talenti e farli crescere, organizzata in maniera professionale e in grado di stringere accordi fruttuosi – per una volta – con le aziende di distribuzione. Era fin troppo facile prevedere un brillante futuro per l’azienda bolognese, oltre al meritato posto tra i nomi più importanti nel nostro paese per lo sviluppo di videogiochi.
Sfortunatamente, tutto questo non si è mai realizzato.
Errori da parte della direzione, la giovane età di tutti i coinvolti e un mercato che dal 1992 iniziò a cambiare in maniera repentina sono fattori da prendere in considerazione nell’analisi della travagliata storia dell’azienda. Francesco Carlà sembrava così innamorato dell’idea del “simulmondo” e delle persone virtuali che lo animavano, da dimenticare che l’azienda Simulmondo fosse, invece, portata avanti da persone in carne e ossa. Le buone intenzioni e le brillanti idee del giornalista non erano certamente abbastanza, specialmente a causa dell’ostinazione in un settore di mercato che, per quanto potesse aver senso da un punto di vista strettamente economico, non avrebbe potuto dare frutti nel lungo periodo. Quella stessa ostinazione, poi, finì per alienare tutti i migliori talenti che Simulmondo era riuscita ad attirare.
Invece di dare fiducia a collaboratori di comprovata esperienza, professionisti come Venturi e Cangini, l’imprenditore tirò dritto per la sua strada, trascinando stancamente l’azienda con sé, fino alla naturale conclusione, lasciando dietro di sè una scia di rimpianti e un assordante silenzio. Quella stessa azienda che, sostanzialmente da sola, era riuscita a far decollare l’industria videoludica italiana, nonché a riunirla sotto un’unica bandiera, finì per rifilarle un colpo mortale da cui ci vollero anni per riprendersi.
Una narrativa poi non così distante da quella che ritroviamo in Olivetti.
Simulmondo era il più grande sogno di Carlà e Venturi: sarebbe dovuta diventare “il nuovo volto” dei videogiochi in italia e “l’interazione elettronica per il mondo intero”. Oggi, invece, si ricorda come un minuscolo capitolo nella storia globale dei videogiochi nel mondo e, in Italia, un argomento che sembra animare quasi solamente i nostalgici.
Fortunatamente, il futuro non fu così plumbeo come il finale della storia di Simulmondo.
Numerosi degli ex dipendenti dell’azienda riuscirono a trovare successo in altre imprese, da Artematica alla stessa IV Productions di Venturi, oltre a esperienze importanti come Lightshock software e Trecision. Nonostante una fine lenta e dolorosa, Simulmondo fu un’esperienza che, probabilmente più delle altre, riuscì a dimostrare al Paese intero che fosse ora di prendere i videogiochi sul serio.
I figli di Simulmondo
Ivan Venturi lavora ancora nel settore videogiochi, dopo varie esperienze in proprio, con la sua IV Productions e Italian Games Factory. Il suo libro autobiografico Vita di Videogiochi: Memorie a 8-bit, è stato un testo importante per la stesura dell’articolo e funge da ottima lettura per chi è interessato a saperne di più. Il nuovo gioco, Haunted Space, di Italian Games Factory uscirà per Ps5 e console next-gen, ecco il trailer.
Mario Bruscella ha collaborato con Artematica per svariati anni e, attualmente, lavora a un progetto di economia alternativa e solidale.
Massimiliano Calamai lavora ancora nel settore videogiochi con Small Thing studios.
Riccardo Cangini ha trovato successo internazionale con la propria software house, Artematica. Attualmente risiede a Malta dove lavora su videogames, AR/VR, body tracking ed esperienze interattive.
Federico Croci è il direttore di Spazio Tilt, il museo dei flipper di Bologna.
Ciro Bertinelli, Gianluca Gaiba e Michele Sanguinetti non hanno lavorato più su un videogioco.
Francesco Carlà ha lasciato il mondo dei videogiochi, dichiarando l’intenzione di portare gli stessi ideali che animavano la sua azienda, nel mondo della finanza che definisce come “videogiochi per adulti”. Nel 2021, sta ancora cercando di unire i bei tempi andati con le sue moderne idee finanziarie sulla pagina Simulmondo su Facebook .
Fonti & Riferimenti
Interviste telefoniche condotte dal sottoscritto, tra ottobre 2020 e marzo 2021, con Ivan Venturi, Ciro Bertinelli, Mario Bruscella, Massimiliano Calamai, Riccardo Cangini, Federico Croci, Gianluca Gaiba e Michele Sanguinetti.
MC Microcomputer numeri 122, 126, 127, 128, 130, 132, 133, 135, 146
Francesco Cirica, Intervista a Francesco Carlà e Ivan Venturi in “Simulmondo: La nascita dell’industria videoludica italiana e la sua evoluzione”, 2015
Post sulla pagina Facebook di Simulmondo gestita da Francesco Carlà
Grazie a Ivan Venturi, Mario Bruscella, Massimiliano Calamai, Riccardo Cangini, Federico Croci, Ciro Bertinelli, Michele Sanguinetti e Gianluca Gaiba per il tempo e l’attenzione. Ringraziamenti particolari a Ivan Venturi, Federico Croci e Roberto De Gregorio per le foto e i materiali contribuiti.
Grazie per la visita.
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Articolo appassionante… leggendolo, mi e’ sembrato di esser stato in Simulmondo per davvero! 😎
Complimenti, davvero un articolo molto dettagliato e ricco di aneddoti!!
Grande articolo. Roba da professionisti. Grazie
Anche Joe Razz non c’entra niente con Simulmondo, è d’importazione (il video stesso è di un programma TV straniero):
https://www.awn.com/animationworld/interactive-television-are-we-there-yet
comunque bel lavoro come sempre, grazie
Cirica non ha fatto bene i compiti 😀