Picchiaduro, beat ‘em up, picchiapicchia, fighting game, brawler. Genere dai tanti nomi, tenuto insieme da un singolo obiettivo: sterminare nemici a suon di calci e pugni. Caratterizzato da meccaniche somiglianti, a fronte di stili grafici diversi, il picchiaduro risulta incentrato sullo scaricare la violenza – in maniera meramente virtuale – su sprites, identificati come “colpevoli” allo scopo di risolvere una situazione. Nonostante, come vedremo, il genere nasca in Oriente, ispirato alle classiche ambientazioni da film di arti marziali, presto il cinema americano degli anni settanta e ottanta inizierà a essere preso come riferimento principale per i titoli di maggior successo.
Per chiarezza espositiva, siccome i nomi sopraelencati vengono utilizzati in maniera promiscua per indicare entrambe le tipologie di giocabilità, l’articolo si concentra sul classico genere del picchiaduro c.d. “a scorrimento”.
Bruce Lee e The Warriors - primi riferimenti culturali
Nato strettamente legato al successo crescente delle sale giochi negli anni ’80, la giocabilità semplice e immediatamente comprensibile del dover picchiare tutti quanti i nemici su schermo si sposava naturalmente con la natura “mangiasoldi” dei cabinati. Kung Fu Master, riconosciuto come capostipite (Kieren, 2017) e ispirato ai film di Bruce Lee (Game of Death uscito successivamente nel 1978), fu sviluppato dalla IREM per arcade e successivamente convertito – da Shigeru Miyamoto – per NES. Il legame con il filone dei film di arti marziali resterà un caso piuttosto raro nel genere considerando che, presto, arriveranno ben altre ispirazioni. Nel 1986, il designer Yoshihisa Kishimoto sviluppa il primo titolo della longeva serie Kunio-Kun: Nekketsu Koha Kunio-Kun uscito prima in sala giochi e successivamente per NES. L’ambientazione e la storia erano ispirate dagli anni liceali dello stesso Kishimoto e alle varie esperienze e incontri con i bulli durante la sua, non esattamente tranquilla, adolescenza.
Momento di svolta per il beat em up sarà la conversione di Kunio Kun per l’occidente: veranno abbandonate le ambientazioni da scuola secondaria giapponese (chiaramente di poca attrattiva per un pubblico non abituato al legame tra malavita e scuola), in favore dei poco raccomandabili bassifondi descritti da film come The Warriors (I Guerrieri della Notte, 1977). L’ambientazione incentrata sul degrado urbano diventerà presto sinonimo dell’intero genere, ritornando sostanzialmente intatta in molti dei titoli che verranno. Anche l’aggiunta – di poco successiva – di elementi narrativi tipici dei “revenge movie” si rivelerà vincente, con collegamenti che è agevole tracciare tra diversi film di successo del medesimo periodo come i vari seguiti de Il Giustiziere della Notte prodotti dalla Cannon Pictures.
Kunio Kun, distribuito in occidente col nome di Renegade, vedrà la sostituzione dell’originale storia tra licei e malavita, con la parabola narrativa, anch’essa già alquanto tipica, del dover salvare una fanciulla in pericolo. Oltre al dover, ovviamente, sgominare bande di criminali. Oltretutto, il titolo portava nel genere la possibilità di movimento del personaggio sul piano orizzontale e verticale, non più limitando la giocabilità su un semplice piano 2D come Kung Fu Master, pur mantenendo la classica meccanica di scorrimento orizzontale. Renegade introdurrà anche l’obbligo, da parte del giocatore, di dover sconfiggere tutti i nemici su schermo onde poter procedere. La serie sviluppata da Kishimoto arriverà ufficialmente in occidente solo nel 1989 con il seguito di Kunio Kun, pubblicato per NES con il nome di River City Ransom, dove il designer giapponese anticiperà, di una buona decina d’anni, molte delle idee che arricchiranno il genere, quali elementi RPG e una mappa su cui muoversi liberamente.
Kishimoto – evidentemente – ritenne corretta la scelta di trasformare i corridoi liceali in putridi bassifondi malfamati, poiché quando si trattò di sviluppare una sorta di seguito spirituale per Kunio Kun, riprenderà la stessa parabola narrativa osservata in Renegade. Double Dragon, uscito l’anno successivo, sarà influenzato (oltre che l’ovvio riferimento nel titolo a Bruce Lee), anche dagli scenari post apocalittici di Mad Max e Ken il Guerriero. Kishimoto andrà oltre questi riferimenti, con l’aggiunta di alcune tocchi di drammaticità tipica cinematografica, presi in prestito interamente ai film di vendetta dell’epoca, come l’introduttiva sequenza animata che mostra il rapimento della fidanzata del protagonista Billy (ulteriormente spettacolarizzata per il seguito, in cui la fanciulla verrà uccisa a colpi di fucile). Erano elementi decisamente fin troppo maturi per il pubblico medio dei videogiochi casalinghi dell’epoca, infatti la sequenza dell’uccisione della fanciulla verrà censurata per la conversione su console né tantomeno tornerà nella versione filmica di Double Dragon (incentrata invece sul dover sconfiggere un malvagio CEO di un’azienda).
La serie Double Dragon vede anch’essa la luce originalmente in sala giochi dove, oltre al citato seguito, andrà avanti fino al terzo titolo, quest’ultimo non creato da Kishimoto. La trilogia verrà convertita per console, dove poi la saga continuerà in maniera esclusiva con Double Dragon V, realizzato da Tecmos nel 1994 (il quarto titolo fu, a quanto pare, saltato a piè pari), un picchiaduro 1-vs-1. Altra sorte ancora spetterà alla serie Renegade, invece, che diventerà su homecomputer un picchiaduro a scorrimento indipendente dal volere del designer originale, con il secondo titolo Target: Renegade sviluppato dalla Ocean e il conclusivo Renegade III: The Final Chapter dalla Imagine.
Il genere si sviluppa: altre caratteristiche
Altra caratteristica tipica della giocabilità del genere picchiaduro di fine anni 80 è la possibilità della collaborazione tra due giocatori (da non confondere con la selezione del personaggio): il co-op fu inizialmente introdotto proprio con Double Dragon, ove, non a caso, Kishimoto disegnò il rapporto tra i due protagonisti come fratellanza, così da invogliare i giocatori alla massima collaborazione. Alla fine, però, Billy e Jimmy dovranno comunque combattere tra loro, poiché solo uno potrà arrivare alla vittoria finale: una svolta narrativa piuttosto intrigante che introduce una serie di fantasiose speculazioni su quali siano le reali motivazioni della lotta tra i due fratelli. La caratteristica della “fratellanza” o comunque della collaborazione tra due protagonisti non viene riscontrata spesso tra le citate ispirazioni del genere, considerando come molti dei “revenge” film degli anni ottanta presentino la ricorrente figura del vigilante solitario (Furia Cieca) o, comunque, una vendetta diretta da chi ha subito un torto. Il co-op rimarrà elemento “narrativo” tipico dei videogiochi, derivante dal permettere maggiore varietà nella giocabilità. La scelta di un personaggio da una rosa fu, invece, introdotto successivamente.
Tra il 1987 e il 1991, il genere vive il periodo di più grande popolarità; legata alla conversione degli originali coin-op e alla nascita di diversi titoli dedicati al mondo console. Sega utilizzò, per la prima volta, un’originale tematica mitologica per Altered Beast, che verrà ibridata con l’antico topos della metamorfosi (all’epoca celebrato in film come L’Ululato e Un Lupo Mannaro Americano a Londra). Successivamente, il medesimo designer di Altered Beast, amplierà il tema fantasy per la serie Golden Axe, questa in realtà ispirata dalle gesta e dal successo della trasposizione cinematografica di Conan Il Barbaro, seppur la serie presenti anche alcuni elementi narrativi della “vendetta”. Golden Axe fu anche il primo titolo a presentare la possibilità, per il giocatore, di poter scegliere il personaggio tra un guerriero, un’amazzone e un nano.
Capcom, invece, continuò sulla falsariga narrativa del rapimento della fanciulla e dei bassifondi malfamati con Final Fight. La stessa casa giapponese, nel suddetto periodo, rilasciò una nutrita serie di picchiaduro sviluppati per sala giochi per la scheda CPS-1, legati a personaggi dei fumetti (The Punisher) nonché a serie a cartoni animati (Cadillacs & Dinosaurs, dalla serie Xenozoic Tales). Molti di questi resteranno esclusive per sala giochi, senza mai esser convertiti per console. La stessa casa giapponese, poi, rilascerà anche titoli d’ispirazione completamente diversa come Captain Commando, con un personaggio originale e un’ambientazione furistica.
Capitolo piuttosto unico nel genere sarà invece Battletoads, sviluppato dalla software house britannica Rare per competere con la serie delle Tartarughe Ninja, esclusivamente per console. Caratterizzato da una narrativa molto vicina a quella di un episodio di una serie a cartoni, le tre ranocchie dalle sembianze umane vengono chiamate per sconfiggere una cattiva principessa, con tanto di sequenze animate e dialoghi in stile “saturday morning cartoons”, che tenevano incollati i bambini americani alle televisioni. Battletoads esce nel 1991 per NES, venendo successivamente convertito per ulteriori console e homecomputer. Nonostante sia definibile a tutti gli effetti come un picchiaduro vecchia scuola, il gameplay classico viene alternato con alcune sequenze arcade, come i livelli dove i personaggi devono evitare degli ostacoli a bordo di un veicolo. La serie vedrà fortune alterne negli anni successivi, presentando anche un capitolo crossover piuttosto unico come Battletoads Vs Double Dragon, uscito nel 1993.
Per quanto riguarda le ispirazioni dal genere horror cinematografico, non c’è moltissimo da segnalare, nonostante potrebbe sembrare un ottimo argomento da sfruttare per il genere picchiaduro. La serie Splatterhouse (1988) della Namco è il punto di riferimento per il genere in salsa orrorifica, anch’essa inizialmente nata in sala giochi e poi traslata esclusivamente su console per i successivi due titoli. Le ispirazioni usate da Namco sono moteplici, da La Casa a Venerdì 13, da cui chiaramente viene l’idea della maschera indossata dal protagonista. Anche quest’ultima serie presenta, però, una narrativa ibrida che unisce la vendetta con il salvataggio di una fanciulla in pericolo, unendo due classici del genere. All’interno del filone del beat’em up a sfondo horror, come detto mai particolarmente florido, val la pena ricordare anche il coin-op Night Slashers (1994) di Data East, la cui narrativa era piuttosto unica, con un team di pseudo supereroi inviato a combattere contro orde di morti viventi.
Oltre a diverse conversioni dei titoli di maggior successo in sala giochi, le console hanno ricevuto una serie di titoli dedicati: su tutte, sempre SEGA con l’ormai classica Streets of Rage. La serie per Megadrive, opera del designer Noriyoshi Ohba, è anch’essa caratterizzata dall’ambientazione da bassifondi degradati, con una narrativa incentrata sul dover sgominare bande di criminali e riportare la città alla pace. Ohba ha tratto ispirazione, oltre che dalla classica ambientazione del sobborgo malfamato già osservata, anche da serie televisive come Starsky & Hutch e l’A-Team: non a caso la rosa dei personaggi è rappresentata da tre ex-poliziotti che hanno dovuto lasciare le forze dell’ordine a causa dell’eccessiva corruzione. Il terzo capitolo della serie sarà l’ultimo per Megadrive, nonché il primo in cui ove non ci sarà Ohba alla direzione o design. La serie prenderà una lunga pausa, con Sega indecisa se farla ritornare e diversi tentativi mai andati al di là di timidi tentativi di sviluppo, fino al 2020 in cui uscirà il quarto capitolo a opera di DotEmu (cfr. infra).
Gradualmente, tutte le software house citate hanno abbandonato il genere nella seconda metà degli anni novanta, causa anche il declino di popolarità del picchiaduro nelle sale giochi, a favore dei giochi di combattimento 1-vs-1.
Dal Beat 'em up al Character Action
Nel 1997, con l’inizio del declino di popolarità del genere, vale la pena di soffermarsi su alcuni dei tentativi di riportarlo in auge. In particolare Fighting Force, aggiornato per il periodo con l’aggiunta di una grafica completamente in 3D, sviluppato da Core Design. Uscito per PC, PlayStation e Nintendo 64, il titolo era stato inizialmente proposto a Sega come quarto capitolo di Streets of Rage– In seguito al rifiuto dell’azienda giapponese, Core ritenne di continuare lo sviluppo e rilasciarlo come stand-alone. Caratterizzato da una narrativa – non a caso – simile a quanto osservato con Streets of Rage, un team di giustizieri dovrà sconfiggere un criminale che sta tentando di distruggere il pianeta, fu un tentativo che non sembrò riscontrare particolare successo di critica e pubblico. Ciò nonostante Core ritenne di svilupparne un seguito che fu, a tutti gli effetti, ancora meno apprezzato dell’originale.
Con l’arrivo delle nuove console PlayStation 2 e XboX, portatrici di una piccola rivoluzione nell’industria e il conseguente aumento del budget medio di un videogioco, le meccaniche di gameplay iniziano a essere caratterizzate da gradi di sempre maggiore complessità. L’inevitabile conseguenza è che il genere beat ‘em up sembrò perdere rilevanza e attenzione da parte del mercato. Negli anni 2000, il giocatore non sembrava più disposto ad accontentarsi di una giocabilità scarna come quella del picchiaduro vecchio stile. La tendenza dell’industria videoludica post-2000 a volersi avvicinare a una narrativa più squisitamente cinematografica, insieme al successo dei giochi di ruolo, non sembrava favorire quei titoli dove la violenza la faceva da padrona e la narrativa passava sempre e comunque in secondo piano. La ripetitività e la ridotta esplorazione dell’ambiente erano ulteriori fattori avvertiti negativamente dal pubblico. Un titolo molto atteso, pensato come unione tra una complessa storia in stile jRPG e meccaniche beat ‘em up ibride, come The Bouncer (2000) della Squaresoft, le cui ispirazioni erano molto diverse da quelle osservate in precedenza, venne ricevuto in maniera alquanto negativa dalla critica e poco apprezzato dal pubblico.
Le meccaniche del picchiaduro continueranno, comunque, a esser utilizzate dagli sviluppatori, ma esclusivamente come elemento da inserire in generi di più ampio respiro, così come dimostrato da serie di successo come Devil May Cry e God of War. Nonostante queste non possano esser di certo definite come semplici brawler, i combattimenti richiamano da vicino alcune delle tipiche caratteristiche del genere c.d. “old school”: ripetitività e necessità di sconfiggere gruppi di nemici per proseguire nonché un generale focus del gameplay sul sistema di combattimento, con l’aggiunta di minimi elementi RPG. Il designer Hideki Kamiya definirà questo sottogenere di action/adventure come “character action”, una combinazione di diversi generi ma sempre con la caratteristica distintiva che l’azione ruoti intorno a un personaggio principale sempre al centro della narrativa. Le storie dei titoli, poi, iniziano a essere di afflato ben più ampio delle ispirazioni citate in precedenza.
Questa necessaria amalgama tra le caratteristiche del picchiaduro con elementi di generi diversi come gli RPG (specialmente per quanto riguarda i punti esperienza e lo sbloccare ulteriori potenzialità del personaggio) e l’action/adventure, più l’aggiunta di narrative complesse, sembra essere la chiave per ricevere l’apprezzamento dal pubblico. L’impossibilità di tornare ai semplici tempi dei picchiaduro vecchia scuola o pensare a un design alternativo per riportarne in auge meccaniche sembrerebbe venir confermata anche da tentativi da parte di Sega e Capcom. Sia Golden Axe: Beast Rider (2008) che Final Fight: Streetwise (2006) riscontreranno pochissimo successo di critica e pubblico, principalmente a causa dell’apparente forzatura della giocabilità tipica dei primi anni novanta entro canoni più moderni, senza la necessaria comprensione di come far evolvere il genere beat ‘em up in qualcosa di differente. Tentativi più di ampio respiro che, invece, adattavano il genere alla specificità della licenza utilizzata, come Marvel Ultimate Alliance (2006) della Raven Software, ebbero buoni riscontri.
Negli anni successivi, la situazione non sembra modificarsi in maniera sostanziale, si riscontrano infatti pochissimi tentativi di ricondurre il genere entro dinamiche della vecchia scuola. Le ispirazioni cinematografiche anni ottanta che avevano originalmente ispirato gli sviluppatori vengono considerate ormai fuori moda, tanto che neanche le atmosfere, apparentemente ideali per un picchiaduro, come quelle di Fight Club (1999) riescono a trasformarne le scazzottate filosofiche in un prodotto videoludico di successo.
Fino al 2010 sembra che gli unici tentativi generalmente apprezzati dal pubblico siano quelli dove la violenza sia un elemento da non prendersi troppo sul serio, i precedenti elementi narrativi della vendetta e della “pulizia dei quartieri” verranno abbandonati del tutto. Pubblico e critica sembrano, infatti, apprezzare gli esasperati scenari di MadWorld (2009) della Sega e l’ironia di God Hand (2006), nonché anche il più spensierato supereroe Viewtiful Joe della Capcom (di nuovo, opera di Hideki Kamiya). Da segnalare anche il medievale Castle Crushers, sviluppato dai The Behemot nel 2008 come esclusiva per Xbox 360, il cui design era ispirato ai giochi flash in voga nel periodo, con un ritorno alle meccaniche beat em up classiche con elementi RPG e una narrativa, di nuovo, incentrata sul dover salvare una fanciulla.
Nonostante il graduale abbandono del picchiaduro old school, oltre alle fortune alterne del genere di combattimento a incontri, si riscontrano alcuni tentativi di traslare le classiche dinamiche in una cornice più moderna, come nel reboot di Splatterhouse (2010); discretamente apprezzato dal pubblico, ma non ricevuto positivamente dalla critica. In generale, il successo anche di un titolo che pure riprende le meccaniche del beat em up come Bayonetta (sempre di Kamiya), sembrerebbe – di nuovo – aver indicato come un genere quale il classico picchiaduro a scorrimento non potesse più sopravvivere nel mercato.
Ancora di più farà, poi, la serie Yakuza di Sega, dove il paragone con la serie Kunio Kun non è affatto casuale: nonostante i combattimenti rappresentino il focus centrale del gameplay, sono arricchiti da una serie di dinamiche tipiche dei giochi di ruolo, nonché la possibilità di esplorare il mondo senza dover seguire solo la trama principale. La narrativa della serie di Sega, molto complessa rispetto alla media, sembrerebbe più ispirata ai classici film gangster con nette influenze del filone dei samurai, piuttosto che alle narrative glorificanti la vendetta e la violenza dei film della Cannon.
Ritorno della Old School
Negli ultimi anni sembra emergere, invece, una tendenza antitetica alle correnti descritte negli anni duemila. Tra i fattori maggiormente influenzanti, oltre alla nota tendenza nostalgica con il conseguente revival della grafica 8/16 bit, anche la maggior disponibilità di mercato per titoli che presentano dinamiche non particolarmente complesse. Oltre infatti a Sega che, tramite l’esperienza di DotEmu, ha colto il momento per riportare in auge Streets of Rage con un apprezzato quarto capitolo (che ripropone in pieno le dinamiche dei precedenti) uscito 26 anni dopo il terzo, si segnalano anche diversi validi tentativi indipendenti come Fight’n’Rage degli spagnoli sebagamesdev e Super Punch Patrol.
Coerentemente, anche la serie Kunio Kun è nuovamente arrivata in occidente, senza essere sottoposta a reinterpretazioni, con il nuovo River City Ransom: Underground, sorta di seguito ufficiale proprio del capostipite del genere. Addirittura, la serie River City è stata ripresa dalla software house americana Wayforward per un titolo del tutto nuovo (e dalle dinamiche puramente old’school) come River City Girls. Qualche anno prima, sempre la Wayforward, si era occupata di un reboot della serie Double Dragon, Neon, progettato come un tributo all’intera decade degli anni ottanta, con un enfasi sul lato puramente goliardico della saga, più che su quello drammatico.
Nel momento attuale sembrerebbe potersi affermare che il ritorno del picchiaduro vecchia scuola abbia iniziato una sorta di “terza fase” per il genere. Il pubblico sembra di nuovo apprezzare questo ritorno a dinamiche più semplici e senza fronzoli, nonché una nostalgia generalizzata verso la grafica 8/16bit, mentre la critica ha valutato positivamente il ritorno di serie classiche che sembravano ormai morte e sepolte. Anche per i titoli nuovi, le tematiche continuano a essere ancora particolarmente legate al generale degrado urbano e della necessità di “ripulire” un quartiere, il filone mitologico, invece, non sembra ancora esser stato recuperato dagli sviluppatori. Le meccaniche dirette e ripetitive, la grafica più semplice e la necessità di non dover lavorare su un titolo molto lungo, poiché la rosa di personaggi permette un artificiale prolungamento della durata, fanno sicuramente apprezzare il genere anche agli sviluppatori indipendenti.
Resterà da vedere se, nei prossimi anni, il beat em up old school riuscirà a vivere di vita proprio, lontano dal generale discorso nostalgico, magari trovando nuove ispirazioni, oppure se resterà – come personalmente credo sia maggiormente probabile – un genere legato indissolubilmente agli anni 80 e 90.
Grazie per la visita.
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Fonti & Materiali
Kieren Hawken, The A-Z of Atari 2600 Games: Volume 1
Brian Ashcraft, Arcade Mania! The Turbo-Charged World of Japan’s Games Centers
Chris Hovermale “How Devil May Cry’s arcade inspirations shaped character action games” (Destructoid, 2019)
Bell’articolo Damien. I Beat ‘em up sono stati uno dei generi di punta dalla seconda metà degli anni ’80 alla prima metà degli anni ’90 (con qualche strascico alla fine di questi ultimi).
Hai citato gioconi da sala giochi come Cadillacs e Captain Commando, io aggiungo anche quelli con licenza come Simpsons e Avengers (quest’ultimo per SMD).
Effettivamente, il genere ha avuto un vagito di revival negli ultimi anni, più che altro con alcuni remake o seguiti più o meno ispirati, ma ormai è stato soppiantato da quel genere che più gli si avvicina, ovvero il roguelite, dove si unisce il platform/azione alla parte di esplorazione, boss rush e item collection con qualche accenno di puzzle solving.
Ed è un peccato, perchè ritengo che i beat ‘em up siano quel tipo di gioco da prendere tranquillamente quando si ha poco tempo, scaricano la tensione e divertono molto in single ma soprattutto in multi.
Sì, ormai anche il revival va a “mode”, prima andavano i platform stile Shovel Knight, in questo periodo vanno i roguelite e i beat em up decisamente non sono di moda, ma diamogli un po’ di tempo chissà…!