Da bambino detestavo gli RPG giapponesi (jRPG) con un certo fervore. Mi ripetevo continuamente quanto non sopportassi quel genere, ripromettendomi di non giocare mai un Final Fantasy o qualcosa che potesse lontanamente ricordarlo
Questo principalmente per pregiudizio e per l’essere cresciuto con RPG occidentali come Rings of Power e, appunto, Buck Rogers. La narrativa più lineare oltre al character design generalmente più stereotipato tipico dei jRPG non soddisfacevano i miei gusti. Naturalmente, alcuni anni dopo sono uscito dalla mia zona di comfort; Chrono Trigger fu il primo jRPG a cui mi appassionai al punto da giocarlo dall’inizio alla fine.
Penso ancora che gli RPG che mi hanno formato avevano interessanti scelte di design, pertanto mi sembra sensato trattarli in questa sede, poiché si tratta di titoli di cui è stato scritto poco, per usare un eufemismo. Visto che ho già ampiamente parlato del titolo di Naughty Dog, ora… prepariamoci per il lancio della prima parte dedicata alla saga RPG di Buck Rogers.
Buck Rogers alla riscossa!
Introdotto in una striscia a fumetti nel 1928, Buck Rogers nacque in realtà William. Ispirato ad un racconto pubblicato su Weird Tales, William Rogers è un minatore vittima di un incidente, a causa del quale finisce intrappolato nel sottosuolo in uno stato di ibernazione. William viene successivamente risvegliato nel 2412, incontrando quasi subito Wilma Deering, salvandola dall’attacco di una bestia feroce. Insieme dinvetano protagonisti di una serie di avventure tipiche del formato giornaliero di quei tempi, che non prevede un arco narrativo che connette la serie di storie.
Nel 1933 l’autore e l’illustratore della striscia, Philip Francis Nowlan e Dick Calkins rispettivamente, ri-scrissero le origini del personaggio – già ribattezzato Buck Rogers ai tempi – facendo di lui un asso dell’aviazione statunitense messo in stato di ibernazione per salvargli la vita. La popolarità di Buck raggiunse la sua vetta nel 1934 e le sue avventure continuarono in formato striscia a fumetti sino a fine anni ‘60, quando la pubblicazione fu interrotta. Successivamente, grazie alla popolarità di Star Wars, Buck trovò nuova vita nella produzione di una serie tv e di un film, sebbene la rinnovata fama ebbe vita breve: nel 1981 l’intera serie sembrava praticamente morto, ulteriori tentativi di riportarlo in vita non andarono da nessuna parte.
Alla fine degli anni ‘80, Tactical Studies Rules (TSR) – già famosi per aver pubblicato Dungeons&Dragons (D&D) – idearono uno scenario di gioco, creando proprio il gioco di ruolo da tavola Buck Rogers XXVC (aka Buck Rogers in the 25th Century), che portò poi la compagnia Strategic Simulations (SSI) – già possessore della licenza di Advanced D&D – allo sviluppo di due giochi basati su di esso: Countdown to Doomsday e Matrix Cubed. Il gioco arcade Buck Rogers – The Planet of Zoom della SEGA precede entrambi e naturalmente non è legato al gioco di ruolo.
Russia e Stati Uniti finalmente insieme
Il gioco di ruolo della TSR introduce diversi nuovi concetti all’interno della saga, molti dei quali non rilevanti per l’analisi del videogioco qui trattato. In seguito una prima guerra nucleare nel 1990, l’umanità ha esplorato a fondo il sistema solare, in cerca di nuovi pianeti adatti alla vita. Nel XXV secolo, la Russian American Mercantile Corporation (RAM) ha goduto di una posizione dominante come unica superpotenza del sistema. Sebbene non si considerino malvagi, dopo aver consumato tutte le risorse naturali sulla Terra e aver occupato Marte, nessuno osa contrastarne lo strapotere, eccezion fatta per la New Earth Organization (NEO).
Il conflitto principale tra la RAM e la NEO serve semplicemente da sfondo per le avventure del team, visto che l’universo di Buck Rogers non hai mai dato l’impressione di avere una corporazione malvagia o un cattivo di sorta come antagonista principale. Nel primo gioco della serie, Countdown to Doomsday, i membri della squadra del giocatore iniziano la loro storia come cadetti per la NEO: proprio mentre vengono introdotti alla loro prima missione, la base terrestre viene attaccata dalla RAM.
Questo è il primo passo verso il cuore pulsante della storia: il giocatore deve impedire alla RAM di eradicare la vita sulla Terra, per mezzo del Doomsday Laser e perpetrare nefasti piani di ripopolamento tramite organismi geneticamente modificati. La guerra, con tutte le sue vittime innocenti, è un’idea interessante, sebbene non emergano grosse considerazioni etiche o politiche al di là di “la RAM è il male”. Per non parlare della ROM.
Ovviamente, la distruzione della Terra ed il suo sfruttamento come terreno di coltura per i “Gennies”, organismi geneticamente modificati, rappresentano una motivazione drammatica sufficiente a spingere il giocatore nella trama. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale Scot.Dos che lo accompagna è un idea ingegnosa, agendo da consigliera e amica, come una sorta di Alfred per Batman. Sparsi nel corso della storia, si possono trovare riferimenti ad un’intelligenza artificiale malvagia – Holzerhein – che sembra poter essere la mente dietro il Doomsday Laser, tuttavia non c’è modo di confrontarsi con essa all’interno del gioco e non viene neanche spiegato il suo ruolo, dando l’impressione di essere un contentino per i fan del gioco da tavola. Durante l’avventura, il gruppo incontrerà alcuni personaggi noti che rappresentano l’unica connessione con il fumetto originale e la serie TV.
Da dungeons and dragons a navette spaziali e pistole laser
SSI evidentemente non contava sul fatto che i titoli di Buck Rogers potessero avere alcun successo significativo, infatti non intrapresero la strada di sviluppare un nuovo sistema RPG apposito. Riutilizzarono invece il loro motore Gold Box, rendendo così i giochi molto simili ad altri come Champions of Kyrnn e Secret of the Silver Blades. La principale differenza che distingue Countdown to Doomsday è l’ambientazione stessa: un concentrato di fantascienza, ergo nessun incantesimo.
Il gioco si apre come la maggior parte degli RPG per computer dell’epoca: creare un personaggio da zero fino a raggiungere un team e successivamente inizia l’avventura. Il giocatore può scegliere razza (tra 5 tipi che differiscono principalmente per contributi fisici), sesso (che gioca un ruolo in una sola missione) e il vessillo di battaglia. Dopodichè si spendono alcuni minuti a decidere quali attributi assegnare ad ogni personaggio; ma su questo ritorneremo in seguito.
Countdown to Doomsday, il primo gioco della saga, fu ideato da Bret Barry e Graeme Bayliss, due membri storici di SSI. Essendo un RPG degli anni ‘90 destinato ad essere portato su varie piattaforme (Dos, Amiga e Commodore 64), è pensato per essere giocato con un diario fisico a portata di mano. Oltre all’usuale protezione anti-copia, il Diario arricchisce e spiega della maggior parte degli incontri e dialoghi, con il testo su schermo che fa riferimenti diretti a specifiche voci del libro. Questo significò non appesantire troppo il giocatore, permettendo conversioni più semplici su piattaforme con caratteristiche tecniche diverse, oltre a poter fruire di una scrittura più scorrevole.
Sebbene questa scelta di design possa sembrare sorprendente a giocatori contemporanei, la trovo oggi ancora affascinante. Un design che costringa il giocatore ad approcciarsi a un mezzo di comunicazione differente è una scelta raramente esplorata da fine anni ‘80/inizio anni ‘90, fatta eccezione per rare videocassette e una certa avventura italiana. Nel mondo dei videogiochi indie di oggi potrebbe potenzialmente rappresentare un modo per coinvolgere ulteriormente l’utente.
Indiziamoci
Entrambi i titoli della saga, come tutti gli altri SSI sviluppati con il motore Gold Box, sono giocati principalmente attraverso una piccola finestra dove il giocatore si muove nell’ambiente in prima persona. Il resto dello schermo è dedicato allo stato degli altri membri del gruppo e su molte opzioni selezionabili per mezzo di una comoda interfaccia per tastiera. Esiste il supporto per il mouse, ma utilizzarlo finisce per rivelarsi impossibile. La visuale in prima persona funziona finchè la mappa del livello è relativamente piccola; diventa problematica appena il gruppo mette piede nella base della RAM, un enorme livello su due piani, con nessun indizio visuale di alcun tipo. Ed ora è il momento del nostro sponsor, che è… SSI! Proprio cosi, lo studio pubblicò e mise in vendita un libro di suggerimenti con mappe per ogni livello.
Aggiungendo al danno la beffa, essendo questo un RPG classico, perdersi per strada avrà la nefasta conseguenza di dover affrontare ancora più combattimenti casuali. Prendendo come riferimento un jRPG come Final Fantasy, le battaglie continue sono necessarie per far salire di livello il party e raccogliere armi e soldini (il famigerato “livellare” o grinding, che dir si voglia). Tali attività, nei due titoli della saga Buck Rogers, sono un po’ meno utili della media.
In primis, aumentare di livello è possibile unicamente all’interno di una delle molteplici basi NEO sparse per la galassia. Secondo, l’esperienza guadagnata in battaglia è così irrisoria che non vale la pena spendere ore in scontri casuali. A rendere il sistema di combattimenti casuali ancora più esasperante, si aggiunge il fatto che sconfiggere tutti i nemici in una battaglia richiede tempo, anche se il proprio party è molto più potente dei nemici stessi (eventualità che a sua volta non si verifica per la maggior parte degli scontri anche al livello di difficoltà più basso).
Terzo, raccogliere armi e crediti è sostanzialmente inutile visto che ci sono pochi negozi in giro e l’inventario a disposizione dei personaggi è comunque poco capiente. Le armi che fanno davvero la differenza non sono facili da trovare, e, in ogni caso, anche il fucile più potente non darà netto vantaggio in battaglia se il personaggio non ha la giusta abilità per utilizzarlo. Anche il sistema economico all’interno del gioco è piuttosto piatto: non ci sono fluttuazioni di prezzo, né grossi vantaggi nel vendere un oggetto sulla Terra piuttosto che su Marte. Appena il party accumula più di 10 mila crediti, questi saranno sufficienti abbastanza per la maggior parte dei giocatori; ci sono in effetti armi e armature più costose, ma direi ben lungi dall’esser necessarie per finire il gioco.
Attendi il turno, scegli l’azione, lancia i dadi, incrocia le dita.
Il combattimento è a turni e, sebbene privo della finezza strategica di titoli successivi come X-Com o Panzer General, rimane pienamente influenzato da Advanced D&D. Ogni volta che il giocatore attacca il nemico, il motore calcola la probabilità del personaggio di colpire il bersaglio oltre al danno potenziale, anche se raramente riesce a essere accurato. Pur esistendo una sorta di sistema di copertura, prevalentemente usato su Venere e Marte, non esistono differenze di altezza nelle mappe. La meccanica del colpo alle spalle è peculiare: mentre nella versione PC sembra che il personaggio non possa effettuare un colpo alle spalle se non possiede l’abilità “stealth movement”, nella versione console ogni personaggio del party ha modo di eseguirlo. Le varie abilità dei personaggi hanno infatti un’influenza diretta sul combattimento, quali di queste facciano realmente differenza, il giocatore lo scoprirà solo dopo un paio d’ore di gioco.
A mò di esempio, dopo la fine della prima missione, combattere in assenza di gravità diventa comune, dunque se un personaggio non è allenato in tale abilità, il suo movimento sarà pesantemente limitato. Ovviamente, certe armi sono più efficaci contro alcuni tipi di nemici, pertanto è utile allenare i personaggi in differenti tipologie come armi bianche, fucili e pistole – fornendo il party di più di un guerriero – per non incorrere in uno stallo in battaglia. Cambiare equipaggiamento offensivo durante un combattimento diventa presto una necessità; sfortunatamente l’interfaccia della tastiera non lo rende molto comodo.
Le armi hanno un numero limitato di munizioni e tendono a rompersi dopo un certo numero di utilizzi. Avere un membro del team con l’abilità di ripararle risulta sicuramente più efficace che riempirsi l’inventario di pistole e fucili. Per ridurre lo stress legato a ripetuti scontri causali, il giocatore può abbassare la difficoltà e scegliere “combattimento veloce”, lasciando all’intelligenza artificiale il compito di svolgere il lavoro sporco. Di norma, funziona bene, posto che il giocatore non si aspetti di risparmiare munizioni o punti vita, visto che il computer è fortemente determinato a concludere lo scontro il più velocemente possibile. Per quanto l’IA sia utile per risparmiare tempo prezioso al giocatore, non raccomanderei di usarla per combattimenti non casuali che fanno parte della storia, solitamente più difficili.
Il design del gioco non lascia al giocatore momenti per tirare il fiato, a causa della casualità del tutto potrebbe tranquillamente capitare di incontrare un team di nemici, anche forti, subito dopo un combattimento principale, lasciando molto poco tempo per curare completamente ogni compagno ferito o per andare a comprare munizioni o nuove armi. Ora, però, ci fermiamo qui con il combattimento a terra e passiamo al cuore della saga di Buck Rogers della SSI: l’esplorazione e il combattimento nello spazio!
Ingegneri pronti alla battaglia!
L’esplorazione e il combattimento spaziale sono la principale caratteristica che SSI ha introdotto in modo esclusivo per i titoli di Buck Rogers: concetti interessanti che avrebbero potuto agevolmente trasformare il gameplay in una versione “light” di Elite. Immaginate un RPG open world in cui si può viaggiare liberamente di pianeta in pianeta, intraprendendo quest e abbattendo astronavi, ammassando crediti per potenziale la propria navicella, oltre a ottenere armi migliori per, poi, andare ad affrontare direttamente quei disgraziati della RAM.
Sembra bello? Sfortunatamente questo scenario deve essere stato molto oltre le intenzioni originali della SSI per la saga.
L’esplorazione spaziale, svolgentesi su una mappa della galassia, serve esclusivamente per spostare il party da un punto A ad un punto B. Non c’è una reale esplorazione, dato che ogni pianeta o cluster di stelle che il giocatore può visitare è già visibile dal primo momento. Ci sono alcune location opzionali ai fini della trama principale, che premiano la curiosità del giocatore con interessanti ricompense, anche se a livello di trama non offrono molto d’intrigante.
Gli unici nemici che si incontrano nello spazio sono astronavi della RAM, di tre differenti dimensioni: oltre a esser distrutte, possono essere prima abbordate, se desiderato. Le abilità dei personaggi giocano un ruolo importante: è infatti essenziale riparare e manovrare la nostra Malestrom Rider e anche saper fare fuoco con le armi a bordo. Azzuffarsi nello spazio è, in generale, più avvincente del combattimento a turni di base, marchio di fabbrica di SSI. Tuttavia, abbastanza stranamente, per la maggior parte i combattimenti nello spazio si possono saltare visto il loro ruolo nella storia: per quanto ne sappia, c’è una singola battaglia necessaria per progredire, tutto il resto è extra. Apparentemente SSI realizzò che si trattava di una meccanica superflua, visto che nel secondo titolo della saga di combattimenti obbligatori non ce ne sono proprio.
Ci sono piccole ricompense nel dare la caccia alle navi della RAM, ma, vista la lunghezza dei combattimenti, non mi sentirei di dire che vale la pena di completarli. Si possono trovare armi potenti su alcuni dei vascelli più grandi, ammesso di riuscire ad abbordare e sopravvivere combattimenti non facili una volta dentro; questo è il massimo che il combattimento spaziale può donare al giocatore.
L’astronave del proprio party, un vascello della RAM chiamato – come accennato – Maelstrom Rider, non può essere potenziato in alcun modo, disponendo dall’inizio alla fine di tre tipi di armi e punti vita dello scafo. Nel suo insieme, per il modo in cui è stato sviluppato, il combattimento spaziale appare come un’aggiunta non pensata per essere essenziale, pur essendo l’unica rilevante novità di gameplay che SSI introdusse nel motore Goldbox. Come ultima considerazione, almeno è possibile provare a scappare dalla maggior parte degli scontri, in tutte le versioni del gioco.
Una versione per console di un titolo SSI? Si grazie.
Buck Rogers: countdown to Doomsday fu probabilmente l’unico RPG di SSI a ricevere – a quei tempi – una conversione diretta su una console SEGA, pubblicata da Electronic Arts. La cosa più interessante a riguardo, da parte del team che ci ha lavorato, fu ripensare il design originale, rendendolo nell’insieme più accessibile, ma non particolarmente meno punitivo.
La prima cosa ad essere abbandonata fu la visuale in prima persona, probabilmente sotto le pressioni del publisher EA: la conversione adotta una vista in terza persona più gradevole della controparte PC. Il titolo guadagna anche una colonna sonora completa, mentre prima si trovavano solo un paio di melodie riprodotte ogni tanto. Sicuramente, sarei poco onesto se dicessi che la colonna sonora sia particolarmente bella o memorabile, ma è sicuramente meglio che giocare in completo silenzio. Un altro aspetto che viene ovviamente abbandonato è il Journal, che avrebbe avuto poco senso in un gioco su console. Eventi e incontri vengono, quindi, completamente descritti con del testo all’interno del gioco, e furono aggiunte persino alcune cut-scene minimali. La creazione del personaggio è oltremodo semplificata, il che é probabilmente una scelta azzeccata: abbandonate quattro pagine di skill, per lo più inutili, da scrutinare, in favore di una selezione ridotta di abilità basilari per ogni classe dei personaggi.
Tutto il resto rimase praticamente invariato nel salto su console, con alcuni miglioramenti sotto il cofano. La grafica è generalmente più colorata e varia, nello specifico le schermate del personaggio e inventario sono più piacevoli da guardare e semplici da navigare anche per giocatori non che non masticano RPG. L’inventario è leggermente meno scomodo da gestire; l’opzione di dividere individualmente i crediti è stata rimossa, considerando la poca utilità. Nella versione 16 bit è anche possibile scappare dalle battaglie a terra (raggiungendo un bordo dello schermo) visto che le aree sono molto più piccole: tuttavia ogni singolo membro del party deve lasciare il campo di battaglia affinché funzioni. Se ci si trova all’interno di una stanza chiusa, ovviamente, non c’è modo di fuggire.
Viene aggiunta anche una sequenza animata introduttiva che mostra un generico alieno che usa un laser contro la Terra. Considerando la trama, la scena avrebbe forse più senso come sequenza finale? I fan più accaniti degli RPG di SSI storceranno il naso di fronte alle modifiche fatte che rendono il gioco, in generale, meno “classico”. Ciò nonostante, penso sia tranquillamente affermabile che SSI abbia messo quasi più impegno nella versione per Megadrive che in quelle per PC / Amiga/ Commodore 64.
Arrivando alla conclusione della prima parte di questa retrospettiva, vorrei concludere con alcune raccomandazioni. Per chi volesse lanciarsi nel poco conosciuto RPG sci-fi Countdown to Doomsday, sicuramente la versione Megadrive é quella da preferire. Sebbene possa essere un’esperienza meno sfidante, é decisamente molto più diretta e immediata da giocare; ironicamente, è proprio invecchiata con più grazia.
Nella seconda parte, analizzerò come e perché ho scelto di vivisezionare le problematiche di Countdown to Doomsday e, naturalmente, daremo un’occhiata al suo seguito esclusivo per PC Matrix Cubed.
Grazie per la lettura.
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Grazie a Michael Caminale per l’aiuto sulla traduzione.